Ha soltanto ventiquattro anni, lunghi capelli biondi tenuti assieme da una già iconica fascetta, e nessun timore di quello che lo sta aspettando. Dall'altro lato della rete si muove a scatti l'americano che è deciso a detronizzarlo ed è tutto diverso da lui: i capelli stavolta sono corti e crespi, l'attitudine è quella di chi intende mangiarsi l'erba immacolata di Wimbledon. Il 5 luglio del 1980, a Londra, tra Bjorn Borg e John McEnroe si consuma un capitolo luccicante di una rivalità destinata a rimanere epica.
Anche perché è davvero lo scontro tra due sportivi, e due uomini, che interpretano tutto all'opposto. Il mancino dello svedese e il destro dell'americano. La difesa impenetrabile di Borg e i forsennati attacchi di McEnroe. Lo spirito nordico che non sa cosa vuol dire scomporsi e la focosità di chi col suo tennis vorrebbe squagliare tutto. Calma, però. Perché Borg viene da quattro vittorie consecutive sull'erba - un anno fa ha sconfitto sudando solo un po' Roscoe Tanner - e non ha alcuna intenzione di fermarsi.
Da quella finale i due contendenti avrebbero estratto una storia epica che sarebbe rimasta incisa nella testa delle generazioni future. Si intravedono i primi segnali di cedimento dell'impero svedese, le primissime crepe. Il pubblico religiosamente radunatosi al Centre Court capisce che sta assistendo ad un progressivo cambio di testimone, ma sa anche che non è questo il giorno prefissato. Perché il ragazzo di New York parte come di consueto, arrembante e determinato, e nel primo set mette Bjorn alle corde: 1-6. Il re però non ci sta a deporre così le armi.
Si lecca le ferite, inspira con calma e inizia a leggere meglio i fendenti sparati dal suo avversario, riuscendo a domarne l'impeto nel set successivo (7-5) e pure nel terzo (6-3). McEnroe pare allibito da quella capacità di risposta, da quella difesa così strenua e assoluta, in grado di vanificare ogni suo tentativo. Ma nel quarto e potenzialmente decisivo set ritorna dando fondo a tutte le sue forze, uscendo vittorioso dal momento più lottato dell'intero match (6-7), nonché quello che lo spedisce al decisivo quinto. Dove però Borg fa valere la sua già assurda esperienza e i suoi sensi di ghiaccio e finisce per riemergerne (8-6) con l'ennesima coppa sollevata, la quinta di fila. Un record assolutamente monumentale allora come oggi, se si considera il livello di complessità sempre preteso dal torneo.
Le prime avvisaglie di cedimento, però, non sono solo segnali. McEnroe saprà prendersi le sue rivincite molto presto e la rivalità diventerà leggendaria. Non troppo a lungo, purtroppo. Tre anni dopo quella finale, all'età di soli 27 anni, Borg prende infatti la soprendente decisione di ritirarsi. Fu proprio la successiva sconfitta all'US Open contro l'americano, insieme ad una serie di altri passi falsi dettati da una caduta di condizione, a determinare la scelta. Soltanto qualche tempo dopo il quinto trionfo a Wimbledon era diventato chiaro, per lui, che McEnroe fosse diventato il numero uno.
E lui non voleva sentirsi secondo. Oltre a questo, Borg fece capire di essere già saturo di un mondo che gli aveva succhiato via troppa vita e che, adesso, doveva riprendere i suoi spazi. Fu uno choc memorabile. Un po' come vincere 5 Wimbledon di fila.
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