Lo chiamavano il Comandante. Ma il quarantenne Maksim Fomin, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Vladen Tatarsky, non era solo un militante nazionalista. Dopo aver combattuto fino al 2018 sui campi di battaglia del Donbass con le milizie della Repubblica di Donetsk aveva lasciato il kalashnikov per trasformarsi in un seguitissimo blogger di prima linea. Un’attività che gli era valsa il seguito di oltre 500mila seguaci sul suo canale di Telegram e su altri social russi. Ma probabilmente quell’attività gli è anche costata la vita.
Per ucciderlo con un ordigno esplosivo i suoi nemici hanno scelto lo "Street Bar" di San Pietroburgo, un ritrovo nella centralissima via Universitetskaya dove il blogger partecipava ad un incontro organizzato dallo Cyber Z Front. Il gruppo, di ispirazione ultranazionalista auto-definitosi movimento di "soldati dell’informazione", ha sempre condiviso le posizioni di Tatarsky. Secondo fonti di Kiev citate dalla Ukrainska Pravda lo "Street Bar" sarebbe di proprietà di Yevgeny Prigozhin, capo della milizia privata Wagner. Una circostanza perlomeno dubbia visto che fonti russe accusano gli organizzatori di aver sottovalutato il rischio adottando misure di sicurezza insufficienti. "Non c’erano controlli all’ingresso e non c’era alcuna lista di invitati, entrava chi voleva", hanno spiegato alcuni dei partecipanti all’incontro intervistati dai media russi.
Il probabile killer, una ragazza presentatasi come Nastya di cui è già stata diffusa la foto, si è avvicinata al palco spiegando a Tatarsky di esser un’artista in erba ed una sua ammiratrice. E mentre il Comandante la faceva avvicinare lei gli consegnava una scatola in cui spiegava di aver chiuso una statuetta modellata per lui. Il blogger, per nulla preoccupato e abituato ai gesti di affetto degli ammiratori, se ne sarebbe tornato al proprio posto appoggiando la scatola accanto alla sedia. Qualche minuto dopo, mentre l'"artista" Nastya si alzava e guadagnava l’uscita, la scatola esplodeva dilaniando il "comandante" e ferendo 25 partecipanti all’incontro.
Ora come già ad agosto, quando venne uccisa Darya Dugina figlia del filosofo e ideologo russo, le ipotesi su mandanti e movente dell’attentato si moltiplicano. I vertici di Kiev parlano di "terrorismo interno", ma la figura della vittima fa propendere per un’operazione con matrice ucraina studiata per seminare paura e inquietudine all’interno della Russia. Per quanto i reportage e le analisi di Tatarsky fossero spesso assai critici nei confronti dei vertici militari russi e dell’"Operazione Speciale" Tatarsky restava un fedelissimo di Vladimir Putin. Appassionato difensore della Russia cristiana il "comandante" era spesso ospite del Cremlino in occasione dei discorsi del Presidente. Proprio la fama conquistata con queste attività lo ha trasformato in un obbiettivo di rango. Ma l’utilizzo dell’arma terrorista dentro i confini della Federazione rischia di dare il via ad una nuova pericolosissima escalation. Il diffondersi di un clima d’insicurezza tra i propri cittadini è infatti l’ultima cosa che il Cremlino può permettersi in questo momento.
Proprio l’attentato alla Dughina e quello al ponte di Kerch in Crimea innescarono, ad ottobre, la pesante offensiva missilistica sulle centrali elettriche e sulle infrastrutture energetiche dell’Ucraina. E ai primi di marzo l’attentato messo a segno nella regione russa di Briansk da alcuni oppositori russi armati da Kiev ha spinto il Cremlino a colpire la capitale ucraina con sei missili ipersonici Kinzhal.
Un segnale pesantissimo visto che i Kinzhal, oltre a esser difficilmente intercettabili persino dalle batterie Patriot statunitensi, possono anche trasportare testate nucleari. Un modo come un altro per far capire che la prossima rappresaglia potrebbe puntare direttamente al presidente Volodymyr Zelensky e ai vertici di Kiev.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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