Chi ha veramente a cuore le sorti del lavoro e delleconomia italiana dovrebbe osservare con molta attenzione lo scarto improvviso della Cgil, sulla riforma del Welfare presentata dal governo, avvenuto nelle stesse ore in cui i partiti della sinistra radicale rosso-verde hanno rilanciato loffensiva contro il governo di cui fanno parte.
Quella riforma, frutto di settimane di trattative con 44 sigle sindacali dei lavoratori e delle imprese, prevede un insieme di provvedimenti che uniscono le soluzioni per l'aumento delle pensioni minime e per il famigerato scalone previdenziale, con altre iniziative in materia di lavoro dirette ad incentivare l'aumento dei salari legati alla produttività, il ricorso agli straordinari, la limitazione dei contratti a termine.
In quei provvedimenti c'è molta ideologia ed anche molto assistenzialismo pensionistico a dispetto dell'immagine del rigore che su questo tema il governo vorrebbe mostrare, ed il metodo seguito, cioè la concertazione sindacale che sposta fuori dal Parlamento la sovranità della politica economica, non è il migliore del mondo. Tuttavia, nel momento in cui tale metodo è fatto proprio dal governo e dalla sua maggioranza ci si aspetterebbe che ad esso tutti gli attori si attenessero, compresa la Cgil che, come azionista di riferimento del suo «governo amico», ha fin dal primo momento accreditato Prodi e la sua politica economica.
Ed è qui che nei giorni scorsi è accaduto lo scarto improvviso. Raggiunto l'accordo, anche se con qualche mal di mancia come sempre accade nelle trattative sindacali, il maggiore sindacato del Paese ed anche il più raccordato con i partiti della sinistra, ha improvvisamente annunciato il dietrofront puntando l'indice proprio su alcune delle misure controfirmate, come l'incentivo degli straordinari ed i maggiori vincoli al lavoro precario. Mentre ciò accadeva nel palazzo della Cgil, in altri palazzi di partito, quelli di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi ed in alcune stanze dei Ds si radicalizzava una analoga opposizione agli stessi provvedimenti, saldandosi con lo scarto del sindacato in un crescendo di opposizione massimalista che ormai è prassi, che diventa tanto più forte e minaccioso quanto più avanza il progetto di Partito democratico. Insomma appare evidente che sia per la Cgil che per i partiti della sinistra radicale il governo è amico solo se a condizionarlo sono loro; e la concertazione è da difendere solo se è lo strumento con il quale tenere a guinzaglio ministri e sottosegretari. Cosa ben diversa da ciò che intendeva Ciampi che ne fu l'inventore,
Se non ci fosse di mezzo l'urgenza di arrestare il declino di competitività dell'industria italiana e di aumentare di almeno 10 punti il tasso di partecipazione al lavoro di donne e giovani, non varrebbe la pena di attardarsi a questi giochi estivi della politica politicante e del sindacalismo sindacalizzante. Ma poiché tutto ciò accade mentre la minoranza della Cgil condiziona tutta la Cgil, che a sua volta condiziona Rifondazione, che condiziona i Comunisti italiani, che condizionano i Verdi, che condizionano Prodi che condiziona il Paese, c'è da chiedersi cosa abbiano fatto di male lavoratori ed imprese per essere ostaggio di un perverso effetto domino che condiziona tutti ma non costruisce nulla per il mondo del lavoro.
Oltre vent'anni fa il potere d'acquisto dei salari fu difeso grazie alla convergenza virtuosa tra politica e sindacato che, con la Cisl di Ezio Tarantelli, inventò il tasso di inflazione programmato e con il governo Craxi-De Michelis decretò la fine della scala mobile. Sia all'uno che all'altra la Cgil disse no ma il Paese ebbe il coraggio di procedere ugualmente.
b.costi@tin.it
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