Tomislavo II, storia di un re che non fu mai sovrano

Alessandro Massobrio

Quegli antichi scolari che, come me, hanno frequentato la scuola media di una volta - con tanto latino, con tanta Iliade ed Odissea e pochissimo inglese - non credo saranno sfuggiti alle tradizionali «forche caudine» costituite, nell'ultimo anno, dalla lettura di Piemonte di Giosue Carducci.
Mi raccomando, Giosue senza l'accento, ma con accento, anzi, grandissima enfasi nel ricordare le glorie della casa di Savoia. La casa regnante che aveva «fatto» l'Italia. Anche se gli italiani si erano mostrati spesso restii ad essere resi tali. Tenacemente legati com'erano ai loro campanilismi e regionalismi strapaesani.
A quel tempo, nessuno storico si era ancora peritato di studiare quelle che oggi si chiamano insorgenze, le quali si liquidavano senza grandi problemi sotto il generico nome di brigantaggio. Quanto ai Savoia, se ne studiava la genealogia, mettendo in evidenza come il ramo Carignano della ex casa regnante fosse in qualche modo venuto a patti con il liberalismo risorgimentale, regalandoci quell' «italo amleto», che fu il re Carlo Alberto.
Su di lui Carducci, divenuto da fervente mazziniano devoto servitore della corona, non voleva intingere la penna nel veleno. Anzi, si commuoveva quasi di fronte a quella indecisione in qualche modo genetica che costringeva il sovrano, pur nobile e valoroso, a non poche giravolte di valzer nella sua politica interna ed estera.
Giulio Vignoli, docente presso la nostra università, pubblicista ed esperto di problemi balcanici con particolare riferimento a quelli delle minoranze italiane in Croazia, Slovenia e Montenegro, ci mostra come simile attitudine alla non scelta, all'esitazione, al lungo tergiversare per poi non agire, fosse una caratteristica comune anche ad altri rami della medesima famiglia. Ed in particolare a quei duchi di Aosta da cui discendeva il protagonista di questa storia, quel Aimone che col nome di Timoslavo II sarebbe stato il monarca «designato» ma non «incoronato» della Croazia.
Non a caso faccio uso di una estrema precisione terminologica quando mi riferisco al rapporto che questo giovane e prestante principe avrebbe avuto con lo Stato Indipendente Croato. Stato indipendente e non monarchia? Anche in questo caso i distinguo sono non soltanto utili ma necessari. In realtà il territorio balcanico in mano ad Ante Pavelic, il temuto capo degli ustascia, solo con molta immaginazione avrebbe potuto essere definito una autentica monarchia.
Uscito come una costola d'Adamo dalla frammentazione dell'impero degli Asburgo, come una costola d'Adamo, impossibilitata a dar vita ad una nuova Eva, il territorio della Croazia negli anni quaranta del Novecento si presentava come una realtà incompiuta non soltanto a livello istituzionale ma anche sociale e culturale. Certo, l'opportunità di poter annoverare sul proprio trono un discendente dei Savoia avrebbe in qualche modo contribuito a dar corpo a quel forte sentimento monarchico, sempre latente a livello popolare nei territori di lingua slava. Ma a tutto questo si opponevano tanti fattori, non ultimi la volontà di Pavelic di servirsi di Aimone come di un semplice marionetta, manovrata da fili che ad Aimone certo non facevano capo, nonché la malcelata aspirazione di Ciano e dello stesso Mussolini di utilizzare il secondogenito di Vittorio Emanale III come un grimaldello, grazie a cui accrescere la penetrazione italiana verso Zagabria.
Oltre a tutto questo, mancava poi un elemento di primaria importanza, vale a dire la disponibilità dello stesso Aimone ad accollarsi un impegno tanto oneroso. Valoroso marinaio, ufficiale di alto sentire, padre e sposo amoroso, nonostante un passato di tombeur des femmes di non piccolo rilievo, questo principe, che accetta la designazione a re di un paese, qualche paesaggio del quale ha visto forse solo in cartolina, ma che poi in tutti i modi cerca di scrollarsi di dosso, trascorrendo praticamente tutto il periodo del suo «regno» nella propria villa presso Firenze, ci appare, a conti fatti, più che un «italo amleto» - come lo si è definito al principio - una sorta di stanco esponete di una antica dinastia. Frutto esausto, per quanto esteriormente ancora non appassito, che avrebbe fatto la felicità di un Thomas Mann se un Thomas Mann lo avesse preso a soggetto.
Ma questo è compito da romanzieri, non da storici. Lo storico, in questo caso Giulio Vignoli, ha invece svolto il proprio compito alla perfezione. Offrendo ai nostri sguardi quello sfondo color seppia - come nelle fotografie d'epoca - di una vecchia Italia anni Quaranta, all'interno della quale la morte della patria, perpetuatasi l'otto settembre 1943, non aveva ancora inferto quelle ferite da cui il nostro paese è ancora convalescente.


Su questo sfondo, Aimone - Timoslavo, nella sua inappuntabile divisa da ufficiale di marina, guarda lontano. Troppo lontano perché il suo sguardo cada entro i confini della realtà storica che lo circonda.
Giulio Vignoli, Il sovrano sconosciuto. Tomislavo II re di Croazia, Mursia, Milano 2006, pag. 185, euro 18, 30.

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