Torna la protesta in Iran, la polizia spara sulla folla

Sono tornati. Un mese dopo la grande truffa elettorale, dieci anni dopo quella maglietta insanguinata simbolo della protesta del 1999 studenti e folla sono di nuovo in piazza, di nuovo a piazza Azadi, di nuovo di fronte all'università. Lì il 18 Tir del 1999 le milizie basiji fecero irruzione nei dormitori occupati dagli studenti uccidendone uno e ferendone qualche decina. La maglietta imbrattata di sangue di uno di quei ragazzi diventò il simbolo della rabbia e della repressione. Quella volta finì in pochi giorni. Stavolta non smette. Stavolta a quasi un mese dalle elezioni rubate del 12 giugno studenti e cittadini beffati continuano a scendere in piazza, a gridare la loro rabbia contro il regime, ad affrontare le milizie basiji, a sfidare le minacce delle autorità. E soprattutto continuano ad inneggiare a Mir Hossein Moussavi, il 67enne ex primo ministro diventato l'icona dell'opposizione al regime. I blog e i siti internet dell'opposizione iraniana, da giorni, invitavano a non dimenticare a scendere in piazza e a manifestare in silenzio con una rosa in mano. Ieri pomeriggio quell'invito fa piazza pulita delle minacce di regime.
«Se qualcuno influenzato dalle correnti anti rivoluzionarie prenderà iniziative contrarie alla sicurezza si ritroverà schiacciato sotto i piedi di chi è preposto a vigilare», avvisava ieri mattina il governatore Morteza Tamadon. Ma le sue parole stavolta non fanno paura. Gli studenti e i dimostranti s'avvicinano a piccoli gruppi, evitano i cordoni della polizia, si riuniscono a poca distanza dagli ingressi dell'università. Poi all'improvviso i tumulti, gli scontri, i basiji che caricano, gli spari in aria dei poliziotti, una nube grigia di lacrimogeni che ricopre slarghi e incroci. «Morte al dittatore», lo slogan che dieci anni fa nessuno avrebbe osato urlare, rimbomba tra le case, fa da colonna sonora alle cariche dei basiji, alle incertezze della polizia, ai caroselli di manifestanti ora in fuga, ora di nuovo incolonnati. «La polizia sta sparando in aria e arrestando alcune persone, ora stanno esplodendo i lacrimogeni, i basiji in moto controllano tutta la zona», riferiscono i messaggi su twitter che a sera riecheggiano notizie drammatiche: almeno due morti e 12 feriti tra i manifestanti (prima si era parlato solo di tre feriti), un miliziano preso in ostaggio dalla folla sulla piazza Enghelab.
Come sempre telefonini e internet smettono di funzionare al primo segno di disordini, ma stavolta non sembra essercene bisogno. Stavolta i manifestanti seguono una regia precisa. Si disperdono non appena compaiono i basiji in moto, scompaiono per ricomparire e riprendere i loro slogan un chilometro più in là. In questa giostra confusa tra i fumi acri dei candelotti e dei cassonetti d'immondizia bruciati nessuno sa veramente dire quanti siano gli oppositori. Qualcuno all'inizio ne conta 250 al massimo, ma poi il serpentone umano assume forma e consistenza. Alcuni testimoni parlano di oltre mille persone. Secondo la Cnn, che cita un giornalista sul posto, gli agenti anti-sommossa e le forze paramilitari avrebbero caricato un corteo di quasi tremila persone diretto verso l'università. L'agenzia France Presse, citando testimoni, riferisce di circa tremila manifestanti sparsi tra piazza Azadi e le vie dell'ateneo. Il regime nonostante le divisioni interne innescate da repressione e manifestazioni continua a ignorare la protesta e il presidente Mahmoud Ahmadinejad ripete che «i nemici» saranno «obbligati a trattare» con lui.

«Oggi i nemici - ha detto ieri Ahmadinejad, - sono molto arrabbiati poiché, malgrado la loro propaganda, è arrivato al potere un governo forte del sostegno di 40 milioni di elettori che non concederà loro alcun vantaggio. Dovranno vedersela con noi».

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