da Milano
Lultimo atto di follia è spuntato nelle parole di Mario Balotelli. Tutti a dire: adesso il derby! Tutti a pensare: giusto, non giusto, che lInter vinca lo scudetto proprio quel giorno? Chissà cosa succederà, se... E lui, con quella voce da bambinone delle valli, ha spiazzato tutti: «Il derby? Una partita come le altre». Idea che, poi, dovrebbe essere la madre di tutti i retropensieri. Ma qui accompagna solo chi ha testa ancora leggera, senza pesi che opprimano lo spirito o paure che facciano sentir gambe di legno. Eppure lInter, il Milan, il calcio, ieri ci hanno regalato lattesa più elettrizzante, e spettacolarmente godibile, che lo sport possa produrre: una sorta di roulette russa dalla quale cavarne ogni emozione. Domenica prossima è derby senza limiti alla fantasia. Potrebbe capitare, e sarebbe la prima nella storia, che lo scudetto si assegni proprio in quella partita, potrebbe essere che lInter rimetta in gioco la sue sicurezze, potrebbe essere che tutte e due le squadre, in qualche modo, ne cavino il piatto del buon ricordo. Sarà Milan da acqua alla gola e Inter da testa e gambe pesanti o braccino corto, per dirla con i tennisti.
Ieri la capolista si è messa in pole position per festeggiare fra una settimana. Avrebbe la certezza vincendo. Ma potrebbe anche perdere, se la Roma perderà a sua volta (a parità di punti i nerazzurri hanno il vantaggio degli scontri diretti). Di certo i discorsi vanno chiusi appena possibile. Così come insegna il pallone e ieri si è sfiorata la riprova. LInter ha faticato a disattivare il Cagliari, che pur aveva Acquafresca in riserva (forsanche mentale, essendo giocatore di proprietà nerazzurra) e un bel gruppo di giocatori fermi per squalifica o altri problemi fisici: ultimo della serie il portiere Storari, sostituito da Capecchi debuttante a 34 anni. Niente male per le statistiche, non per il Cagliari.
La gente di Mancini ha rischiato allinizio. Matri, un prodotto milanista, non ha avuto piede e sangue freddo per punire subito la svagata difesa nerazzurra. Poi, segnato il primo gol, lInter ha sprecato tanto. Raggiunto il secondo, è tornata a sentir freddo dietro la schiena quando Burdisso ha combinato limmancabile pasticcio sul tiro di Biondini. Morale della storia: Mancini continua a ripetere che conta vincere, non importa quando. La squadra sta dimostrando che la filosofia del meglio vincere che giocar bene ormai è digerita, seguita, applicata con rigorosa costanza. Ancora una brutta partita, latitanze assortite, ma i soliti gol di testa a toglier nubi dallorizzonte. Una volta lInter era la squadra dei colpi di testa, intesi nel senso negativo. Ora sta affinando il concetto in senso positivo.
Julio Cruz ha messo la crapa decisiva (pur con la collaborazione di Bianco): seconda capocciata vincente nelle ultime due partite, rete che ora permette di affibbiargli letichetta di «mister 100 gol», perchè tanti sono quelli segnati per la causa nerazzurra. Questanno in campionato sono dodici e la gran parte con peso specifico. Che poi dalla testa fredda di Cruz e da quella un po rovente di Marco Materazzi, sia arrivato questo squillo scudetto, dimostra che la storia talvolta si diverte a farci ritrovar protagonisti dimenticati. Materazzi stava smaltendo veleno in panchina, e quella testata (il primo gol in questo campionato) deve averlo riportato alla rete scudetto segnata lanno scorso a Siena, magari permettendogli di scacciar rabbia (indovinate contro chi?) che in sen gli covava. AllInter può capitare di tutto, ma certe cattive abitudini non si perdono mai.
Cruz ha riportato al ricordo dei suoi gol pesanti, come a dire: qui non cè solo Balotelli. Ma una squadra, un gruppo, cinque-sei pilastri che hanno tenuto in piedi la squadra anche nei momenti peggiori. Ieri il bambolone dellattacco è stato meno brillante di altre volte, si è fatto pescare spesso in fuorigioco, si è mangiato occasioni in gioioso, e pericoloso, duello con Cambiasso: le gambe andavano, i piedi ciabattavano. Insomma certe disavventure non sono un caso, se lo spreco diventa una costante, e non leccezione. Inter dalla mira sbilenca, mai bella, sempre generosa.
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