La tragedia della ThyssenKrupp e la lezione di moralità di Delbono

La menzogna inizia con un lungo silenzio: sette attori si spogliano cauti e indossano la tuta da operaio, per poi sparire inghiottiti in quella ferrosa gabbia/luogo di fatica dove troveranno la morte. È uno dei pochi accenni espliciti che Pippo Delbono fa del tragico incendio della ThyssenKrupp da cui prende avvio questo suo ultimo spettacolo (ora all’Argentina). Spettacolo nutrito da un immaginario violento, grottesco e visionario, dove la cronaca trascende in ritualità laica e dove la necessaria riflessione su quelle morti bianche assurge a denuncia umana prima che sociale, a invettiva contro i nostri tempi bui, a drammatico grido di dolore per il deprimente vuoto di valori nel quale stiamo affondando tutti: poveri esseri umani del terzo millennio menzogneri e superficiali, avidi e opportunisti. È ora di spogliarci della ruvida coltre che ci riveste, sembra voler dire il coraggioso artista ligure. È ora di porre fine ai balli in maschera del potere e del dio denaro. È ora di riscoprire il nocciolo di pietà che reprimiamo dentro. È ora di scandalizzarci delle prevaricazioni e dell’indifferenza. È ora di guardare al corpo «diverso» del morbido down Gianluca o all’incedere vacillante del sordomuto Bobò come a dei preziosi ricettacoli di umanità. Nel parlaci così impietosamente di noi, questa messinscena procede per quadri, in un affastellarsi di materiali eterogenei che, accomunati da una cifra fortemente fisica e allusiva, richiamano alla mente qualcosa del Living Theatre e qualcosa del cabaret tedesco degli anni Venti. Distorte caricature espressioniste dove la nudità ora si sposa ora confligge con la follia musicale; con il crescendo disperato di una Giulietta in trench che urla a squarciagola «Romeo, perché sei tu Romeo?»; con le venature lunari dei passaggi più lirici (e ce ne sono!); con la genialità di un voyeurismo tradotto in spasmodico bisogno di guardare e fotografare il pubblico, protagonista anch’esso della divorante «bugia» odierna.

A tutto ciò si combinano poi le declinazioni più autobiografiche che Delbono affida alla sua drammaturgia. Vibranti pagine di memorie familiari e personali simili a quelle che formano la partitura dell’intenso monologo Racconti di giugno, in programma nella stessa sala per questa sera.

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