Trattative segrete per una tregua tra Israele e Hamas

Anche i falchi di Gerusalemme preferirebbero un cessate il fuoco a una guerra che potrebbe richiedere un alto tributo di sangue

Il tabù è rotto. Dopo una settimana di voci e smentite, l’ipotesi di una trattativa per una tregua tra Israele e Hamas è un’opzione concreta. Ad ammetterlo non sono due agnellini, ma due uomini d’armi, due ex generali come il ministro delle Infrastrutture, Benjamim Ben Eliezer, e quello dei Trasporti, Shaul Mofaz. Nel 2002, quand’erano ministro della Difesa e capo di stato maggiore, guidarono l’offensiva Scudo Difensivo e fecero piazza pulita dei gruppi armati palestinesi in Cisgiordania.
Stavolta non si fidano. I generali propongono un’invasione di Gaza, garantiscono l’eliminazione delle cellule responsabili dei lanci di missili Kassam, assicurano la distruzione dei tunnel che permettono il flusso di armi e rifornimenti dall’Egitto. Ma ai rischi della guerra i falchi preferiscono, stavolta, le incertezze di un’esile tregua. «Se ci arrivasse da Hamas una proposta di cessate il fuoco dovremmo esaminarla», dichiara Shaul Mofaz. Il laburista Bel Eliezer non esita a coinvolgere il premier Ehud Olmert. «Per quanto ne so il primo ministro non esclude alcuna possibilità. Se venisse messa sul tavolo una proposta realistica, se Hamas fosse pronto a rinunciare al contrabbando di armi, a discutere un cessate il fuoco di lunga durata e a negoziare il rilascio di Gilad Shalit (il militare catturato da Hamas nel 2006, ndr) io tratterei».
La proposta di tregua esiste già. Ismail Haniyeh, l’ex premier fondamentalista dell’Autorità Palestinese, l’ha rilanciata qualche giorno fa. Il problema è quanto conti la sua parola. Le brigate Ezzedin al Kassam, l’ala militare di Hamas comandata da Ahmad Jafari e legata a doppio filo all’Iran e a Hezbollah, è sempre più insofferente agli ordini dei politici, sempre più decisa ad accettare il rischio invasione. Grazie alle nuove armi, all’addestramento ricevuto da Hezbollah e alle nuove tattiche di combattimento, sono certi di poter replicare le «sorprese» messe a segno dal Partito di Dio libanese nell’estate del 2006. Non a caso giovedì scorso, dopo un’incursione israeliana nel cuore della Striscia, i portavoce delle Brigate Ezzedin al Kassam hanno annunciato di aver utilizzato per la prima volta un missile antiaereo contro un elicottero impegnato nelle operazioni. Israele nega, ma tutti sanno che quei missili, e molte altre nuove armi, attendono solo di essere usate. In queste condizioni, un’invasione richiederebbe un tributo di sangue insopportabile, senza garantire, come sanno bene gli ex generali Ben Eliezer e Mofaz, un’eliminazione radicale e permanente dei Kassam.
Dunque meglio rompere il tabù, meglio trattare. Ma su che basi? Il premier Olmert per ora tace. Il presidente e Nobel per la pace Shimon Peres ricorda le posizioni della comunità internazionale e l’impossibilità di una trattativa se Hamas non riconoscerà Israele e non rinuncerà alla lotta armata. Ma Olmert potrebbe, alla fine, essere più realista del re. Secondo un sondaggio, il 65 per cento degli abitanti di Sderot, la cittadina bersaglio quotidiano dei missili palestinesi, è pronto ad abbandonare le proprie case.

La minaccia dei Qassam dà, inoltre, voce all’insofferenza di una destra contraria ad ogni negoziato, paralizza qualsiasi iniziativa politica. Alla fine anche una trattativa potrebbe essere meglio dell’inerzia, meglio di un’offensiva senza risultati come quella sperimentata sul fronte libanese nell’amara estate 2006.

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