Tre pescatori alla deriva per 9 mesi «Vivi grazie a Bibbia e pesce crudo»

Partiti dalla costa messicana, sono stati soccorsi vicino alle isole Marshall

Eleonora Barbieri

Lucio Rendon, Jesus Vidaña e Salvador Ordoñez hanno scritto i loro nomi su un foglio di carta: i pescatori taiwanesi non riuscivano a capire chi fossero, quei tre uomini dispersi su una barca di sette metri in mezzo al Pacifico. I marinai della Koo’s 102 hanno avvistato la piccola barca il 9 agosto scorso vicino all’isola Baker, un pezzetto di terra disabitato a metà strada fra le Hawaii e l’Australia e hanno soccorso i suoi occupanti, tre giovani messicani magri, il volto bruciato dal sole, le braccia gonfie. I tre - Rendon, Vidaña e Ordoñez - erano dei miracolati del mare, pescatori salvati dalle onde dopo nove mesi e nove giorni di navigazione alla deriva, trasportati dai venti e dalle correnti dell’Oceano Pacifico.
I tre erano partiti da El Limon, vicino a San Blas, lungo la costa messicana, il 28 ottobre scorso per un paio di settimane di pesca d’altura, con acqua, cibo e limoni per una ventina di giorni. Hanno percorso 8.500 chilometri: si è rotto un motore e l’imbarcazione è stata spinta sempre più verso occidente, fino a raggiungere l’isola Baker, la stessa zona a cavallo dell’Equatore dove, 69 anni fa, ha perso la vita la donna più famosa della storia dell’aviazione, «Lady Lindy» Amelia Earhart. Prima di incrociare i taiwanesi (impegnati nella pesca di tonni) i tre messicani non avevano incontrato neppure una barca. Le piogge abbondanti hanno evitato ai giovani di morire disidratati. L’età (hanno tutti meno di trent’anni) è stata sicuramente d’aiuto. E poi, come hanno spiegato l’altra sera (sfruttando la radio a bordo della Koo’s 102) in un’intervista alla televisione messicana Televisa, hanno mangiato «tutto ciò che si avvicinava alla barca»: gabbiani e pesci, ingeriti crudi. Hanno digiunato anche per quindici giorni di fila, hanno dovuto dividere un gabbiano in tre, hanno rischiato di affondare e, soprattutto, hanno pregato. Insieme, leggendo la Bibbia che uno di loro aveva con sé (al posto di radio e telefono cellulare). «Non abbiamo mai perso la speranza perché sapevamo che Dio ci avrebbe aiutato», hanno spiegato.
Hanno controllato il tempo che passava grazie all’orologio con data indossato da uno dei pescatori e, quando i giorni sembravano non terminare mai, è apparsa un’altra barca. A bordo nessuno riusciva a capire la loro lingua, ma hanno mangiato un po’ di riso e spedito un fax con i loro nomi alle isole Marshall, e il messaggio è arrivato a destinazione. Le famiglie, a San Blas, erano incredule: «Credo che avrò un infarto - ha dichiarato al Los Angeles Times Saul Ordoñez, cugino di Salvador -.

Erano andati a pescare e non erano mai più tornati: pensavamo fossero morti». Tra una decina di giorni approderanno a Majuro, nelle Marshall, a bordo della Koo’s 102. Per il ritorno a casa, l’ambasciatore messicano ha già predisposto un volo in aereo.

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