La tripla vita della spia che ingannò il raìs

Mestre«Non avrei mai immaginato di diventare uno 007 dei ribelli a Tripoli, ma dovevo farlo per il futuro della Libia» spiega Rida Mustafa Eljasi. L'ultima volta ci eravamo salutati all'hotel Rixos, nella capitale libica, dove venivano ingabbiati i giornalisti che riuscivano ad ottenere un visto dal regime di Gheddafi.
Classe 1973, Rida era ufficialmente un interprete arruolato dal governo per accompagnare gli inviati italiani. In realtà i simpatizzanti dei ribelli nelle forze di sicurezza libiche gli fornivano informazioni sui bersagli che la Nato avrebbe dovuto colpire. E Rida utilizzava il Rixos, unico punto di accesso internet di Tripoli, per passarle ai contatti della rivolta in Tunisia, che poi le giravano agli occidentali. In pratica faceva la spia, anche se per caso. La sua storia, che sembra uscita da un romanzo, la racconta a Il Giornale in un bar di Mestre. Da queste parti ha una fidanzata, che è venuto a trovare.
«Il 15 febbraio accompagnavo un gruppo di turisti italiani giunti a Bengasi. Le manifestazioni pacifiche erano già iniziate. Ad Al Baida ho visto la gente scendere in piazza e cadere sotto i colpi degli sgherri di Gheddafi. Dovevo fare qualcosa per il mio Paese» racconta Rida, nato a Suk al Juma, un quartiere della capitale roccaforte dei rivoltosi. L'opportunità per diventare una quinta colonna gli viene offerta su un piatto d'argento dal regime. «Un mio conoscente nei servizi segreti mi contattò dicendomi che il governo aveva bisogno di interpreti fidati per i giornalisti stranieri», ricorda. Rida capisce al volo che è un'occasione d'oro. Il 2 marzo si presenta da Moussa Ibrahim, il portavoce del regime ancora oggi alla macchia, con la raccomandazione dei servizi. Inizia a lavorare con i giornalisti del TG1 e del Corriere. Oltre a lui ci sono altre ex guide turistiche come Bashir e Ahmed, che ci aiutano a non credere alla propaganda. Rida fornisce un video esclusivo dei bombardamenti di Bab al Aziziya, mandato in onda su Mediaset, e altro materiale compromettente. Però nessuno sa, neppure i suoi amici interpreti, che fa parte di una cellula ribelle di cinque persone, come altre della capitale.
«Avevo degli amici nell'esercito e nei servizi segreti, che non sopportavano più il regime e cominciarono a passarmi indicazioni sui bersagli da colpire - rivela il ribelle -. Le informazioni riguardavano i luoghi dove venivano nascosti gli arsenali. Oppure gli edifici, spesso anonimi, utilizzati come centri di comando e controllo. Così ho cominciato a fare la spia», racconta Rida.
Lo 007 degli insorti scarica foto e immagini satellitari via Google da allegare alle informazioni. All'inizio cripta i file e li manda con un indirizzo anonimo di posta elettronica ai contatti della rivolta nelle montagne a sud ovest di Tripoli e in Tunisia.
«Dopo un po' hanno piazzato delle apparecchiature per intercettare quello che i giornalisti spedivano via internet» sostiene Rida. Non solo: i servizi libici sono convinti che due o tre giornalisti americani siano spie e ogni tanto ne sbattono fuori qualcuno. «Per evitare intercettazioni usavo Skype con il mio telefonino connettendomi alla rete senza fili del Rixos. E continuavo a spedire informazioni per la Nato» racconta Rida. «Mettevamo nel conto di venir catturati e uccisi - spiega il ribelle -. Non avevo paura di morire, ma temevo la tortura o quello che avrebbero potuto fare ai miei familiari».
Rida fornisce informazioni su una decina di bersagli nella capitale: «Un centro di comando e controllo segnalato in un palazzo, in via Repubblica, è stato bombardato tre volte dalla Nato». Al Rixos cominciano ad insospettirsi per un filmato sui crimini del regime procurato da Rida e mandato in onda in Italia. Per fortuna nell'hotel alcuni dipendenti sono dalla parte dei ribelli. «Il 20 luglio ho mandato in Tunisia dall'albergo le ultime informazioni su dei missili nascosti a Bab al Aziziya (l'ex residenza di Gheddafi, nda)» ricorda Rida. Tre giorni dopo Ashraf Ghabag, che lavora al Rixos, gli salva la vita. «Mi ha informato di un rapporto della sicurezza, stampato in albergo, che sosteneva di aver scoperto alcune spie e citava fra i sospetti il mio nome - rivela il ribelle -. Avevo sei ore al massimo prima che arrivasse alla centrale e cominciassero a darmi la caccia».
Grazie a Jamal Tamzzini, capo cellula degli insorti a Tripoli, lo 007 per caso viene affidato a un taxista sicuro, che fa uscire i ricercati dal Paese. «La strada costiera era piena di posti di blocco. Ad ogni stop non mi restava che pregare - ricorda Rida -. Il taxista aveva i contatti giusti con le guardie di frontiera, che mi hanno fatto passare in Tunisia sano e salvo».
Poi è tornato sulle montagne ribelli di Nafusa, dove è scattata l'avanzata sulla capitale, per portare aiuti umanitari e militari. Nei giorni della caduta di Tripoli è partito per l'Italia.

«Ho rischiato la vita per far diventare la Libia un Paese normale. Per questo spero che gli estremisti islamici non prendano il potere» sostiene Rida. In Libia è convinto che «finirà tutto quando Gheddafi verrà individuato, catturato o ucciso».
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