Tutto il surrealismo di Dalí. Incluso quello dantesco

Dalla serialità e dai multipli che ispireranno Andy Warhol alle illustrazioni solari per la "Commedia"

Tutto il surrealismo di Dalí. Incluso quello dantesco

«A sei anni, volevo diventare cuoco. A dieci, Napoleone. Da allora in poi le mie ambizioni sono sempre andate crescendo»: con queste parole si descriveva Salvador Dalí, fra i protagonisti indiscussi del '900, outsider della cultura europea e padre del filone fantastico del Surrealismo, movimento che da qualche mese sta festeggiando il centenario della nascita con celebrazioni in tutto il mondo. Fra queste è da inserire anche la mostra «Salvador Dalí. Tra arte e mito», inaugurata il 25 gennaio al Museo Storico della Fanteria di Roma.

«Ho voluto dedicarmi all'arte così come alla mitologia dalidiana», spiega il curatore Vincenzo Sanfo. «Ho riflettuto sulla visionarietà di Dalí che trovava spazio anche nei suoi incontri, specie nelle sue connessioni con la mondanità». Ma chi è Dalí oggi? «La sua ricezione è cambiata», continua Sanfo, «mentre quando era in vita si privilegiava l'aspetto più eccentrico della sua persona, le sue stravaganze, i suoi eccessi, le sue boutade, oggi gli si sta pian piano riconoscendo il posto che merita, anche al netto di quella ricerca dell'effetto, di quella volontà di stupire sempre il pubblico. Si sta cioè accettando la sua qualità pittorica, che continua a essere non comune, e che nel tempo ha generato schiere di artisti che si sono abbeverati a quella fantasia tanto eccezionale. Oggi dunque apprezziamo più il Dalí pittore che il Dalí personaggio, sebbene il rapporto con la critica militante continui a essere difficile. Anche a distanza di molto tempo non si perdona a Dalí l'immenso riconoscimento commerciale e popolare che ha avuto, che ha di fatto portato alla consacrazione del suo mito. Per questo ho considerato un elemento particolare: la moltiplicazione effettuata da Dalí delle sue stesse opere, la serialità della sua attività, che gli ha garantito il grande successo internazionale. Qualche anno dopo Andy Warhol avrebbe seguito la medesima strada».

La mostra, estremamente composita, accoglie infatti numerosi multipli d'artista. Non solo dipinti, non solo disegni, sculture, incisioni e litografie, a cui è da aggiungere una sezione dedicata a libri e fotografie, ma anche riproduzioni diventate ormai iconiche: dalle boccette di profumo realizzate per le case di moda (Schiaparelli in primis) alle irriverenti carte da gioco, dai piatti firmati ai vasi policromi, dagli arazzi ai gioielli. Dalí, l'eccessivo, esuberante e imprendibile Dalí è stato anche questo: un venditore geniale, un imprenditore del proprio talento che egli stesso prima di ogni altro ha afferrato, e che ha in seguito replicato in innumerevoli copie.

Ma quest'esposizione è anche molto altro, ospitando materiali che testimoniano il rapporto tra l'artista catalano e due dei suoi più affezionati amici, conosciuti nella Spagna degli anni '30: il poeta Federico García Lorca, presente con alcune preziose litografie a colori, e il regista Luis Buñuel, del quale sono stati selezionati specifici spezzoni di film. La mostra, inoltre, si distingue per essere articolata in senso antologico, seguendo le varie tappe che compongono una delle opere più stupefacenti (e sconosciute) di Salvador Dalí, ovvero la sua illustrazione della Divina Commedia che gli venne commissionata tra mille polemiche direttamente dal governo italiano, nel 1950, in occasione del settecentesimo anniversario della nascita di Dante, e si compone di un centinaio di acquerelli, uno per ogni canto del grande poema: un lavoro anche in questo caso sorprendente che stupisce ancora oggi per vari motivi, non ultimo la scelta di dar vita a rappresentazioni stranianti se non diametralmente opposte ai più comuni immaginari danteschi. E lo si vede soprattutto dalla rielaborazione che l'artista compie dell'Inferno, consapevolmente «abbellito con colori chiari», come chiarirà Dalí, «rischiarato dal sole e dal miele del Mediterraneo» e fatto di «terrori analitici e supergelatinosi con un coefficiente di viscosità angelica»: una descrizione al solito spiazzante e ammaliatrice, che dice molto dell'estrosità del suo autore, del suo desiderio di lottare contro il già dato e di offrire cambi di rotta sempre vertiginosi, sempre conturbanti e impensabili, capaci di dipingere demoni con toni bucolici e insieme di restituire Purgatorio e Paradiso con modalità anch'esse inedite, attraverso disposizioni sceniche e cromatismi che diventano estasi, inni alla trasparenza e alla luce.

Tutto questo non è casuale, per una figura come Dalí, il quale nel corso di una bizzarra quanto illuminante intervista per la tv italiana affermò che la sua massima ambizione consisteva nel «sublimare l'esperienza di tipo anarchico della rivoluzione surrealista dentro la grande tradizione mistica e realista della Spagna». Ecco allora come l'universo spirituale di Dalí, la sua capacità personalissima di contemplare e mediare tra una metafisica e l'altra, la sua intera aspirazione al trascendente, emerge con limpidezza anche dal dialogo impostato con Dante.

«Ho deciso di includere queste illustrazioni nella mostra per una ragione precisa», commenta Vincenzo Sanfo, «detto molto chiaramente: esiste forse nella storia un'opera più surrealista della Divina Commedia? Credo proprio di no. Per questo ho voluto farla diventare il filo conduttore della mostra, per la quale ho immaginato fin dal principio un percorso basato più sull'armonia della visita che sul dato cronologico. Mi sono ispirato a quanto creato dall'Alighieri, alla sua capacità d'immaginazione che è qualcosa di estremamente sinfonico, con alti, bassi, acuti, profondi.

Allo stesso modo ho proceduto con l'allestimento, costruendo un andamento espositivo di tipo musicale: a mio avviso una delle possibilità migliori per tradurre tutta la realtà incredibile, tutto l'universo centrifugo, variegato e dinamico di Salvador Dalí».

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