Roma - "Ho ammazzato mia madre". Una lite come tante, l’ennesima appena alzati. Parole grosse, qualche spintone, e poi giù botte. Fino ad afferrare una bilancia e a scagliarla contro la vittima, Elisa Rossi, la mamma 69enne.
Omicidio della follia a Roma nel quartiere residenziale Pineta Sacchetti. Un condominio come tanti, quello in via Sisto IV dove, in pochi minuti, si consuma una tragedia familiare, l’ennesima. Sono le ore 8 di questa mattina, Roberto Donati, 32 anni, da tempo in cura presso strutture psichiatriche della Asl, è sveglio da ore. Non sta bene e quando si avvicina alla mamma inizia a discutere. Il motivo sembra sempre lo stesso: soldi. Fra i due si accende un battibecco che in pochi minuti degenera in una lite furibonda. Roberto la picchia selvaggiamente, schiaffi, calci e pugni. "Abbiamo sentito delle grida - chiosano i vicini -, un litigio come spesso succede in un palazzo. Nessuno poteva immaginare che sarebbe accaduto tanto", concludono.
L’uomo scaglia a terra quello che gli capita a tiro, poi prende un pesapersone dal pavimento del bagno e lo lancia sulla testa della poveretta. Quando la donna crolla a terra in un lago di sangue si rende conto della gravità del suo gesto. Cerca un telefono, sono attimi convulsi, come ricostruiscono gli inquirenti, poi compone il numero di un amico. "Pronto? Mia madre sta morendo", dice urlando e singhiozzando. La persona sull’altra linea cerca di calmarlo e gli dice di telefonare immediatamente al 113. Lo stesso sembra abbia avvertito le forze dell’ordine. "Mandate i soccorsi in via Sisto IV, è successo qualcosa di terribile". Le volanti del commissariato Aurelio si precipitano sul posto. Ad aprire la porta di casa è lo stesso assassino, chino sul corpo agonizzante di mamma Elisa. Inutile ogni tentativo disperato di soccorrerla per i sanitari del 118, accorsi in ambulanza dalla postazione vicina al policlinico Gemelli. Oscure, al momento, le ragioni esatte (se ce ne sono) del raptus violento. Gli uomini della sezione omicidi della squadra mobile di San Vitale stanno ricomponendo la scena del delitto assieme agli esperti della polizia scientifica.
Il matricida, per ora, è stato sottoposto a fermo di pg con l’accusa di omicidio volontario, anche se non si esclude che l’accusa venga derubricata in omicidio preterintenzionale. In attesa di una perizia psichiatrica, Donati è stato trasferito in cella di sicurezza, nel carcere di Regina Coeli. Sulla vittima, invece, il pm di turno ha disposto l’esame autoptico, necessario a stabilire le cause esatte del decesso. Da un primo esame sul cadavere, effettuato dal medico legale, a stroncare la vita della pensionata "un trauma cranico provocato da un oggetto contundente" compatibile con la bilancia trovata insanguinata in casa. Fra i precedenti più raccapriccianti il matricidio avvenuto un anno fa sul lungomare di Catanzaro.
Vittima un’insegnante di 53 anni, Maria Concetta Sacco, uccisa dal figlio di 21 anni, Marco Umberto Caporale, con sei colpi sferrati con un forchettone da cucina. Movente? Una lite con un amico dalla quale il giovane avrebbe avuto la peggio. Rientrato in casa avrebbe scaricato tutta la sua rabbia contro il genitore mentre il padre si trovava in cantina. Per lui la perizia è chiara: insano di mente. A Milano, invece, un 18enne in preda a delirio colpisce la mamma, la scrittrice Edi Vesco, con una bottiglia di spumante alla testa il giorno di Capodanno del 2008. Anche lui aveva dato segni di squilibrio in passato. Nelle ultime settimane, in particolare, il giovane aveva scritto un documento dal titolo "Delirio di onnipotenza". Su quelle pagine, tra riferimenti esoterici e filosofici, Marco Umberto espone una sua visione del mondo e i progetti futuri, tra cui abbandonare il liceo. Decisione a cui si era opposta con fermezza la madre, pagandola ciò con la vita. Ma è il 6 gennaio di 10 anni fa che a San Giorgio di Acilia, alla periferia ovest di Roma, succede quello che nemmeno la mente criminale più crudele può immaginare. Maria Berretta, 68 anni, viene colpita prima con un punteruolo dritto al cuore, poi fatta a pezzi con un coltellaccio da cucina, infine colpita ancora alla testa con un ferro da stiro arroventato. L’assassino, poi, conclude strappandole il cervello dalla scatola cranica. E lo adagia accanto a quello che resta del volto della donna dicendo: "Ti ho liberata per sempre". Una frase che ripete all’infinito anche quando gli agenti lo ammanettano. Paolo Facioni, all’epoca dei fatti 38enne, è affetto da mesi da una grave forma di depressione. Quando sull’androne di casa incrocia il fratello Fabio, 35 anni, lo fissa negli occhi e dice: "Mamma non c’è più, adesso tocca a papà".
Agli inquirenti confesserà che alla base dell’odio verso i familiari sono le disagiate condizioni economiche. Prima di entrare in cella confessa: "Avevamo sempre i soldi contati e non ce la facevo più. L’ho liberata da questa condizione. Da lassù mi ha ringraziato".
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