Uomini attenti: picchiare l’amante è grave come picchiare la moglie

Ricordate la scena-madre del film «Attrazione fatale»?
Lui (Michael Douglas) picchia lei (Glenn Close) di santa ragione. E anche le donne, incredibilmente, tifano tutte per lui. Perché - detto con sincerità - lei è proprio una iena: non si accontenta solo di essere l’amante, ma vuole pure che il poveretto lasci la moglie. Insomma, un classico della tresca da ufficio. E si sa come vanno queste cose. Prima si fa del buon sesso (almeno si spera), poi si litiga e infine partono le mazzate.
Una situazione sempre più frequente che ha costretto ora la Cassazione ad assumere posizioni dure; dure quanto le percosse che un 41enne siciliano era solito infliggere alla propria amante, rea - a suo dire - di tradirlo.
La Suprema corte, è proprio il caso di dirlo, ci è andata con la mano pesante. Risultato: chi riempie di botte l’amante rischia di essere sottoposto a custodia cautelare in carcere per il reato di maltrattamento in famiglia. La Cassazione ha così confermato la misura cautelare in carcere per il violento 41enne, disposta dal tribunale del riesame di Messina, accusato di maltrattamento e lesioni volontarie aggravate ai danni di una donna, che aveva una relazione con l’indagato. Contro la decisione del riesame, l’avvocato dell’uomo era ricorso ai giudici con l’ermellino sottolineando che fosse «carente l’elemento costitutivo del reato di maltrattamenti in famiglia, contestatogli dall’accusa, previsto dall’articolo 572 del codice penale». Il ricorrente aveva sottolineato che la relazione adulterina con la parte offesa «non sarebbe mai sfociata in uno stabile rapporto di comunità familiare» e che egli conviveva ancora con sua moglie e i figli nella casa coniugale. Alla luce di ciò, a suo parere, non poteva configurarsi il reato di maltrattamenti in famiglia, poiché la situazione non era «suscettibile di determinare reciproci rapporti e obblighi di solidarietà ed assistenza» con l’amante.
La sesta sezione penale della Cassazione (sentenza numero 7929) ha ritenuto infondate le tesi prospettate dall’indagato, il cui ricorso è stato dichiarato inammissibile.

L’uomo è stato anche condannato a pagare le spese processuali e a versare 1000 euro alla Cassa delle ammende. Soddisfatto il legale dell’amante maltrattata: «Difronte alla legge non possono esistere donne di serie A e donne di serie B. Chi rompe è giusto che paghi». E i cocci sono i suoi.

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