Washington - La «fronda» repubblicana contro John McCain ha trovato un leader. Il più adatto, istituzionalmente parlando. Uomo silenzioso e prudente, Colin Powell ha finalmente reso nota la sua scelta tra i candidati alla Casa Bianca: voterà per Barack Obama. Lo ritiene «il miglior Presidente» fra i due contendenti, un leader «capace di guidare la trasformazione di una società, il rappresentante di una nuova generazione che sale alla ribalta mondiale. Egli ha dimostrato un profondo insieme di cognizioni, una acuta curiosità intellettuale e una grande coerenza: tutte le qualità necessarie per essere un presidente di successo, un presidente di eccezione». A queste considerazioni «in positivo» si affiancano, più sfumate nei toni, quelle in negativo. Powell ha condannato la campagna diffamatoria condotta contro Obama in nome e con l'avallo di McCain. «Capisco - ha detto Powell nell'incontro televisivo domenicale Meet the Press - che la politica è fatta anche di queste cose, nella competizione e dunque nello scambio di attacchi fra i concorrenti; ma in questo caso si esagera e penso che la campagna di McCain non sia all'altezza di quello che il popolo americano si merita».
Chiarezza, dunque, e anche durezza. Con qualche precisazione. Ex segretario di Stato e prima di questo comandante in capo delle forze armate Usa, dunque diplomatico e soldato, Powell ha parlato soprattutto da «civile», cioè da diplomatico e da cittadino. Non è sceso in dettagli a proposito della guerra in Irak. Non ha rievocato la propria posizione critica su quella guerra all'interno dell'amministrazione Bush, né il ruolo sgradevole che gli toccò e che egli si addossò interpretando da militare il suo dovere patriottico, di spiegare nei colloqui con i suoi colleghi ministri degli Esteri la decisione di Bush, facendo proprie anche motivazioni basate su dati falsi. La sua scelta di campo è limitata all'appoggio al candidato Obama. Powell non lascerà il Partito repubblicano, non terrà comizi in queste ultime due settimane di campagna elettorale, non ha in programma un ruolo nella nuova Amministrazione, anche se non esclude di valutare eventuali offerte.
Ma il valore, il peso della discesa in campo di Powell consiste anche nella scelta del momento e nell'assunzione di un ruolo: quello appunto di leader della dissidenza repubblicana. Che si manifesta da anni, inizialmente a causa della guerra in Irak ma poi generalizzata e che è forte soprattutto a livello di leadership intellettuale e morale. Ne fanno parte, fra l'altro, alcuni nomi storici del «repubblicanesimo» americano e del movimento conservatore. Si sono espressi contro Bush e McCain (e dunque in favore di Obama) con sfumature diverse ma con chiarezza molti intellettuali e scrittori, tra cui grandi firme del giornalismo quali George Will e William F. Buckley jr., deceduto di recente, fondatore della National Review portata avanti dai suoi continuatori: pochi giorni fa il direttore di quella che è stata definita «la Bibbia dei conservatori americani», ha duramente attaccato la candidata alla vicepresidenza Sarah Palin, definito «un tragico errore» la sua scelta da parte di McCain e l'ha invitata a dimettersi «per il bene del partito e del Paese». Ha espresso grandi elogi per Barack Obama Nancy Reagan, vedova del presidente di massimo successo nella storia del Partito repubblicano e del conservatorismo. L'aveva preceduta il figlio di Barry Goldwater, che del movimento conservatore è stato il fondatore, imitata da un cognome forse ancora più storico, la nipote di Dwight Eisenhower. E adesso Colin Powell.
Sono nomi importanti ma non è detto che si tirino dietro molti voti. McCain non è riuscito a riconquistare i consensi di élite perduti da George W.
Bush ma, avvicinandosi sempre di più all’eredità politica di Bush, si è assicurato l'appoggio delle frange più estreme del partito. Almeno nove repubblicani su dieci lo seguono e i sondaggi delle ultime ore indicano un consolidamento o addirittura un recupero di consensi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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