Vagni torna in libertà: "Volevano decapitarmi"

Dopo sei mesi in mano ai terroristi islamici l’ostaggio racconta: "Sono sopravvissuto al colera, mi hanno nutrito a riso e pesce, ho perso venti chili. Scrivevo su bigliettini messaggi per mia moglie e la mia bimba"

Vagni torna in libertà: 
"Volevano decapitarmi"

Manila - È sopravvissuto al colera, ha resistito per 178 giorni alle sofferenze provocategli da una maledetta ernia, ma da un incubo non si è mai liberato: «Temevo di esser ucciso, di venir decapitato, vedevo in continuazione la mia testa rotolare in un grande cesto». Eugenio Vagni, il 62enne volontario della Croce rossa internazionale liberato venerdì dai suoi sequestratori riassume con quell’immagine l’angoscia di sei mesi nelle mani dei terroristi di Abu Sayyaf, il gruppo islamico tristemente famoso per aver sgozzato molti dei suoi prigionieri.

Il racconto di Eugenio, arrivato ieri all’aeroporto di Manila dove ha riabbracciato la figlia Felicia e la moglie thailandese Khwanruean Phungket, non basta comunque a chiarire i complessi negoziati che hanno portato al suo rilascio. La mossa decisiva capace di convincere Alberto Parad, il sanguinario comandante responsabile del rapimento è l’arresto delle sue due mogli. A gestire al meglio le trattative per lo scambio ci pensa poi Lady Ann Sahidulla, battagliera vicegovernatrice di Jolo, l’isola teatro del rapimento. «Non appena mi hanno informato dell’arresto delle due donne - racconta la vice governatrice in un’intervista - ho contattato Parad e gli ho detto: perché non liberi Vagni e non cambi le loro vite? Le tue mogli ora sono coinvolte in questa storia, i tuoi uomini sono inseguiti dai militari e a ogni contatto ne perdi qualcuno senza contare le sofferenze della popolazione civile... era questo che volevi?». Poco tempo dopo la signora Ann Sahidulla concorda un appuntamento per restituire una delle mogli e ottenere in cambio la liberazione di Vagni. Verso la mezzanotte la Sahidulla guidata via cellulare dal capo terrorista raggiunge assieme a una delle due mogli un remoto villaggio dell’isola e discute gli ultimi dettagli dell’accordo. «Uno degli uomini di Parad mi chiede un “panigarilyo” una specie di mancia per le sigarette e io gli consegno 50mila pesos (750 euro)... poco dopo ho visto arrivare Vagni».

Nelle Filippine in queste ore ci si chiede se quel “panigarilyo” sia effettivamente solo un’esigua mancia per le sigarette o un vero e proprio riscatto. L’altro protagonista delle trattative, il senatore Richard Gordon capo della Croce rossa delle Filippine lo esclude nella maniera più assoluta. «Per quanto ne so – dichiara Gordon - né il governo italiano, né la Croce rossa hanno pagato alcun riscatto».
Allo scheletrico Eugenio Vagni, dimagrito di 20 chili, le polemiche interessano poco. Per lui conta solo esser sopravvissuto al colera e alla mancanza di scrupoli dei sequestratori. «Minacciavano continuamente di decapitarci», racconta Vagni, rapito il 15 gennaio insieme al collega svizzero Andreas Notter e alla filippina Mary Jean Lacaba. «A volte ero così spaventato che vedevo la mia testa rotolare in una cesta. L’unica cosa capace di darmi forza era avere una famiglia in attesa, per non perdere la speranza scrivevo dei messaggi per mia moglie e mia figlia su dei bigliettini». Diviso dai suoi compagni di prigionia a causa del colera e dell’ernia Vagni fino a ieri non sapeva neppure che il collega svizzero e quella filippina erano stati liberati già ad aprile.. «Mi hanno nutrito a riso e pesce, ma dopo il colera ero praticamente pelle e ossa», ricordava ieri l’ex ostaggio che prima di poter rientrare a Montevarchi, dove lo attendono il fratello e altri familiari, dovrà probabilmente raccontare l’intera storia del sequestro alle autorità filippine.

La testimonianza potrebbe richiedere anche una settimana, ma spiegava ieri il ministro degli Esteri Farnco Frattini «potrebbe essere utile e importante per le indagini» su Abu Sayyaf, un gruppo del terrorismo islamico strettamente legato ad Al Qaida.

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