"Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de’ cavalli,/sovra i nembi natando, l’erte criniere al cielo". L'entusiasmo per la musica di Wagner spinse Giosué Carducci, ormai intriso di umori petroniani, ad impiegare le figlie guerriere di Wotan per portare la defunta imperatrice Elisabetta (l’amatissima Sissi), dalla luttuosa terra d’Austria all’azzurro dello Jonio in una sorta di ricongiungimento idealizzato fra la mitologia nordica e quella classica.
Siamo alla fine del secolo XIX, quando ormai l’onda lunga del wagnerismo si riversava anche in quelle terre mediterranee che erano state fra le più refrattarie alla colonizzazione operistica teutonica. La centrale italiana del verbo filo wagneriano fu la Dotta Bologna che iniziò sotto la guida di Angelo Mariani (con le illuminanti prime di Lohengrin - 1871 - e Tannhäuser - 1872) e l'egida propulsiva di Giuseppe Martucci, padre del wagnerismo in Italia.
Di lì iniziò la contrapposizione con Verdi, rappresentante del melodramma italico preunitario, finanche sostenendo che le ultime tappe del meraviglioso percorso del genio di Busseto (Aida, Otello e Falstaff) erano state influenzate dalla personalità di Wagner. Questo il clima del tempo dove imperavano Carducci e il primo Arrigo Boito. Così l'Italia, diciamo Unita, di Francesco Crispi, si poneva sotto-tutela culturale della Germania del Cancelliere Bismarck.
Arturo Toscanini, nato wagneriano, fu il protagonista della Rinascita di Verdi. Fu la sua personalità che impose la nuova impronta interpretativa al campo verdiano con rigore germanico e sangue italiano, riducendo la distanza che la cultura del tempo aveva posto fra i due genii. Era la temperie di quei giorni, quando per «avvicinare» al pubblico il nuovo, costituito dal ciclone giunto dalla Collina Verde di Bayreuth, si operavano gli oggi vituperati "tagli", cui non si sottrasse nemmeno Toscanini per il lungo monologo-duetto fra Wotan e la prediletta figlia Brünnhilde, che abbiamo ancora sotto gli occhi in un sontuoso spartito con le indicazioni allora in uso. Sfidando la moda d’oggi, si ritiene, quando gli interpreti mostrano stanchezza o usura, per non dir peggio, che sia meglio "ritornare all'antico... e sarà un progresso". Sappiamo di tirarci addosso gli strali dei "colti" e dei progressisti, ma, signori, riflettiamo: così si risparmierebbero dolori alle ugole e fastidi a chi ascolta in buona fede.
Allora era di rigore cantare nella lingua del luogo e nacque così fra noi un’eletta schiera di specialisti del canto wagneriano. Fra i maggiori: Giuseppe Borgatti, Amelia Pinto, Aureliano Pertile. I mai paghi pellegrini di Bayreuth tornavano ogni anno a dirci che Wagner cantato in tedesco dai tedeschi "era un'altra cosa", verità o snobismo, cominciavano a scarseggiare anche da noi interpreti veramente adatti alle esigenze. E fu così che calarono dal Nord direttori d’orchestra, registi e cantanti d’origine controllata. Per limitarci alla Valchiria in sede scaligera - in occasione di questa prossima inaugurazione della stagione - non dimentichiamo che, dopo i pionieristici allestimenti diretti da Toscanini (siamo nel 1901) seguito da Hector Panizza negli anni Venti, giunse a Milano Siegfried Wagner, figlio del Grande (1930). Poi vennero i complessi dell'Opera di Stato Bavarese (1938) con il meglio della Germania uncinata (Clemens Krauss direttore, Emil Preetorius, scenografo e costumista). Nel 1950 l’appena denazificato Wilhem Furtwängler con il fenomeno Kirsten Flagstadt (Brünnhilde) e otto anni dopo Herbert von Karajan, debitore al Wagner "latino" del suo maestro Clemens Krauss, nella duplice veste di direttore e regista con la ripetizione del fenomeno sopranile: Birgit Nilsson. Sempre sulla scia della Nuova Bayreuth voluta dal genio innovativo di Wieland Wagner arrivò il fiammingo André Cluytens (1963), altra immissione di Wagner latino (sempre secondo Wieland). E siamo - quasi - già ai giorni nostri con Wolfgang Sawallisch (1974) sino all’inaugurale Die Walküre del 1994 dovuta al nostro Riccardo Muti, in cui già cantava Waltraud Meier nel ruolo di Sieglinde, che sarà ancora una volta nel 2010 interprete della stessa parte.
Letto quanto è stato dibattuto sui giornali in merito all'aspetto visivo dovuto a Guy Cassiers e al suo gruppo della Toneelhuis di Anversa, dobbiamo ricordare che già Bruno Barilli nel dicembre del 1939 scriveva: "Tutta la flotta spettacolare del Teatro Wagneriano scompare sotto il carico enorme del suo anacronistico arredamento scenico". Siamo sempre allo stesso punto e quando vedremo lo spettacolo, riferiremo le intenzioni dei realizzatori wagneriani di oggi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.