Veltroni si rialza dopo gli schiaffi ricevuti dal Papa e da Prodi

Il leader del Pd accusato per il degrado di Roma e criticato dagli uomini del premier reagisce e rilancia. "Dalla sala stampa della Santa Sede sono arrivate parole molto belle, di apprezzamento e di incoraggiamento"

Veltroni si rialza dopo gli schiaffi ricevuti dal Papa e da Prodi

da Roma

Mai darlo per spacciato, Walter Veltroni, perché l’uomo ha sette vite come un gatto, e gode di incredibili capacità di recupero. E se mai per questa tesi ci fosse bisogno di controprova, ieri il sindaco di Roma ha battuto un doppio record, passando nel giro di ventiquattr’ore dalle stalle alle stelle, dall’inferno al paradiso. In questo breve lasso di tempo, infatti, da un lato ha recuperato quello che era stato definito lo «schiaffo papale» (ovvero le critiche di papa Ratzinger sul degrado delle periferie della Capitale) incassando - nientemeno - che un comunicato di precisazione del Vaticano. Dall’altro ha rilanciato sulla legge elettorale, dopo giorni di impasse, con una dichiarazione che sprizza ottimismo da tutti i pori: «Ci stiamo avvicinando a una soluzione, siamo a un passo».
Possibile? Sul primo punto non c’è ombra di dubbio, e molti sono rimasti stupiti per la nota ufficiale della Sala stampa della Santa Sede, che ha smorzato sul nascere una polemica che poteva diventare devastante: «Desta meraviglia - si leggeva nella nota diffusa ieri - la strumentalizzazione politica che ha fatto seguito alle parole rivolte dal Santo Padre. Non era certo intenzione del Papa sottovalutare l’azione sociale che i responsabili della città di Roma e della Regione stanno compiendo con apprezzabile impegno». Parole che arrivano dopo un complesso incrocio di contatti, ma che sono anche il frutto di un gesto che è stato molto apprezzato dalla Santa Sede, l’affossamento (di fatto) della delibera sull’istituzione dei registri per le unioni civili. Proprio il cardinal Tarcisio Bertone, con cui il sindaco di Roma si era incontrato alla vigilia di quel delicatissimo voto, ieri dichiarava: «Con Veltroni prosegue il dialogo e anche la collaborazione». E ieri il sindaco ha registrato con soddisfazione i segnali che arrivavano da Oltretevere: «Sono parole molto belle, di apprezzamento e di incoraggiamento».
Sul secondo punto, invece, la partita è ancora apertissima, ma Veltroni ha deciso di lanciare un bengala per far capire che i giochi non sono fatti e che lui non è rassegnato ad accettare che si vada per inerzia al referendum. Ormai le ambiguità sono cadute, e Veltroni sa che su questo tema ha un nemico dichiarato (Massimo D’Alema, che ha stigmatizzato su La Repubblica le parole del suo vice Dario Franceschini sul modello francese) e uno altrettanto temibile, Romano Prodi, che si è espresso per bocca dei suoi fedelissimi, Arturo Parsi e Rosy Bindi.
Come uscire dall’angolo di un assedio interno, dunque? Ieri Veltroni lo ha fatto premendo il pedale sull’acceleratore delle trattative a tutto campo. E con una apertura esplicita a Gianfranco Fini: «Penso si possa accogliere una parte delle richieste di An all’interno del sistema che la bozza Bianco definisce e che si possano fare ulteriori aggiustamenti». Quindi, tenendo forte l’asse con Silvio Berlusconi, e svolgendo lui il lavoro di ricucitura con Gianfranco Fini, l’obiettivo del leader del Pd, che ieri parlava da Modena, è quello di tagliare fuori quelli che lui definisce, con un neologismo anglosassone i «veto players». Chi sono questi giocatori che tessono la tela nel Palazzo? Veltroni li ha definiti così: «Quelli che giocano solo la partita del veto, quelli capaci di dimostrare di stare al mondo solo perché esercitano il loro potere di interdizione». Insomma il sindaco di Roma cerca di tranquillizzare gli scontenti limando gli spigoli della sua bozza, che tende a ridimensionare i minori, togliendogli ogni carattere ultimativo: «Abbiamo bisogno di creare un nuovo clima per una democrazia bipolare dell’alternanza, con un sistema elettorale che sarà probabilmente un sistema di transizione, di passaggio verso un assetto compiuto». Il suo obiettivo - giura Veltroni - in fondo è solo questo: «Io spero di poter contribuire - ha concluso ieri nel suo discorso a Modena - alla creazione di un Paese nel quale ci sono schieramenti politici alternativi che sono e che rimangono alternativi, e al tempo stesso però che assumano su di sé il senso di responsabilità».
Il malcontento degli alleati ulivisti è arrivato fino al tavolo della maggioranza che era in corso a Palazzo Chigi, dove il leader dello Sdi Enrico Boselli ha messo i piedi nel piatto: «È assurdo - ha esordito - arrivare a una votazione sulla bozza Bianco senza un confronto interno!».

Prodi ha nicchiato, dicendo che la legge si fa in Parlamento e tornando ad accelerare sul conflitto d’interessi («basta manfrine, è nel programma»), e così Veltroni ha replicato ai «ribelli» dando la sua disponibilità a una discussione tra i gruppi parlamentari, ma non nascondendo però le sue perplessità: «Di solito - ha precisato il leader del Pd - non si fa così, la maggioranza se vuole trovare un’intesa ampia, prima dovrebbe discutere con l’opposizione. Se ci blindiamo, rischia di saltare tutto...». Stavolta, insomma, l’Unione viene dopo: è questa la strategia di Veltroni per rompere l’assedio interno.

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