Ventrone, il pittore dell’iperbole che amplifica la realtà

A Como una rassegna dedicata all’artista definito impropriamente "iperrealista". Semmai è "stereofonico"

Ventrone, il pittore dell’iperbole che amplifica la realtà

Se dovessimo immaginare nella pittura il naturale prolungamento della sensibilità barocca, nessuno potrebbe meglio interpretarla di Luciano Ventrone. Non è barocco perché, nelle sue sorprendenti nature morte egli insegue il fantasma di Caravaggio, ma perché, come descriveva il Marino nei suoi celebri versi: «È del poeta il fin la meraviglia,/ parlo dell’eccellente e non del goffo,/ chi non sa far stupir, vada alla striglia!». Ammiratori e detrattori di questo «pittore-vendicatore» sono stupiti dal suo virtuosismo, che appare, e non è, iperrealista; ed è invece meraviglioso, perché procura meraviglia.

Ventrone sa che non potrebbe prescindere dalla fotografia che è lo specchio della realtà. Come lo era la pittura di Caravaggio prima della fotografia, anticipandola. Davanti alle opere (io lo so per prova quando guardo e ascolto chi vede di lui il mio ritratto) chiunque ha un motto di sorpresa e di istintiva ammirazione, che può ribaltarsi in irritazione, per il mestiere e per la dipendenza dall’immagine fotografica. Ma è dipendenza o è indipendenza? E non è una forma di rianimazione della fotografia? La questione è difficile; ma è vero che, nelle nature morte soprattutto, nelle frutta rutilanti, nei melograni (nella foto, «Un solo bisbiglio», 2009), nelle uve, contro fondi neri, Ventrone sembra cercare un assoluto della realtà, una essenza, una entelechia che nell’opera accresce la realtà, non si limita a riprodurla. È di più. Ventrone è il pittore dell’iperbole. E iperboliche, esagerate, barocche, appunto, sono le sue pitture, piuttosto che iperrealistiche. Ventrone esagera, perfeziona il reale, anche nelle sue imperfezioni. E ci costringe a fare i conti con immagini che non ci avrebbero, al di fuori della sua interpretazione, interessato. La sua pittura è «stereofonica», e potenzia la realtà .
Pittura iperbolica, pittura stereometrica, quella di Ventrone. Luminosa come una diapositiva. In grado di concorrere sulle due dimensione con gli effetti speciali di un ologramma. Una sfida. I suoi maestri sono, oltre a Caravaggio, i romantici americani come Church, e i non iperrealisti Grant Wood, Norman Rockwell, Andrew Wyeth. Ventrone è arrivato davanti a noi negli anni in cui Federico Zeri cercava le nature morte del Caravaggio dipinte nella bottega del Cavalier d’Arpino; e Antonello Trombadori faceva riemergere da un passato vicino pittori dimenticati come Antonio Donghi e Carlo Socrate.

A Zeri e a Trombadori, garanti, si deve l’affermazione critica di Ventrone. Io, stupito e basito, ne presi atto; e ora lo incorono come un virtuoso della pittura («reuccio» contrastato, come nel canto, fu Claudio Villa) parlando anche per loro.

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