La "vergogna di volare" ultima moda ecologista

Dopo il viaggio in barca a vela in Usa di Greta crollano i voli e aumentano i viaggi in treno

La "vergogna di volare" ultima moda ecologista

Signori si parte! In effetti in carrozza ci sono solo signori, i poveracci viaggiano in aereo. Nella scorsa estate i giornali scandinavi erano pieni di storie di famiglie che prendevano il treno da Stoccolma o Malmö per raggiungere il Mediterraneo in vagone letto, magari con due o tre cambi, soste confortevoli scendendo in hotel dove potere cenare ovviamente a chilometro zero. Perché bisogna salvare il pianeta. Costa un botto, ma si vede che ne vale la pena. Ne era convinta anche Annika Thomsson, prof a Stoccolma, diretta con la figlia Saga di diciassette anni a Montpellier: l'atmosfera non proprio da Orient Express, ma un treno fine Novecento del gruppo Snälltäget che fino a un anno fa partiva per Berlino (13 ore) quasi vuoto, sedili in finta pelle, aria condizionata a singhiozzo così come l'acqua del lavabo. «Quando ho proposto a Saga questa vacanza mi ha detto che ci veniva solo se non prendevamo l'aereo. E anch'io mi sento in colpa per tutte quelle volte che mi tocca volare per lavoro», ha spiegato mamma Annika. Le aspettava un viaggio di due giorni. «Sarà un'avventura eccitante, come stare in un film, in più la con la sensazione di fare la cosa giusta», diceva Saga. Ferryboat a Trelleborg, quindi attraversamento del Baltico, di nuovo sui binari a Sassnitz in Germania fino a Berlino, e il giorno dopo ciuff-ciuff fino a Parigi, sosta di ristoro, un paio di musei e via al Sud. Costo intorno agli ottocento euro, contro i circa 50 euro a testa se madre e figlia avessero prenotato per tempo un popolare aereo.

Si chiama flygskam, è l'ultimo dogma della fede laica-chic svedese. Vuole dire «vergogna di volare», l'abbiamo scoperto quando Greta ha attraversato l'Atlantico in yacht per pronunciare il suo j'accuse all'Onu. La contraerea ambientalista ha messo nel mirino gli aerei, responsabili di produrre tra il due e tre per cento delle emissioni di Co2 nell'atmosfera e il 12 per cento di tutte le emissioni prodotte dai mezzi di trasporto nel mondo. E siccome i dieci milioni di svedesi, grazie ai loro 50mila euro di pil pro capite annuo e al monte ferie più alto d'Europa, fanno (o facevano) un uso smodato dei cieli, si sentono tremendamente in colpa. Metteteci che la Svezia è la grande madre del politicamente corretto, una sorta di Ikea del pensiero conforme, disegnato con quello stile pulito scandinavo che sa di betulla e di moderno, e lo flygskam diventa una nuova sindrome di Stoccolma che ci rende tutti colpevoli in cerca di riscatto etico.

Il movimento creato due anni fa da Björn Ferry, un ex atleta, ha dilagato dopo che è stato «omologato» con l'adesione della mezzosoprano Malena Ernman, mamma di Greta e guru del marketing climatico. C'è un sito, tagsemester, che fornisce assistenza per trovare alternative all'aereo, piani di viaggio su rotaia, ma anche via nave, addirittura sui cargo transoceanici. Si prevede che tra pochi mesi saranno centomila gli svedesi che boicotteranno i cieli, ma secondo il Wwf nel corso di quest'anno il 23 per cento della popolazione ha rinunciato all'aereo per non contribuire al riscaldamento globale. I dieci principali aeroporti del Paese segnalano un calo dei biglietti dell'otto per cento in sei mesi, mentre le ferrovie di Stato un aumento del 10 per cento sulle tratte nazionali, tanto che vi sono piani per l'acquisto di nuovi treni a lunga percorrenza, gare per il design di vagoni-letto stile ostelli di lusso. Chi ha fatto il colpaccio è la compagnia privata Snälltäget, che ha acquistato la tratta Malmö-Berlino nel 2011, ma anche la Malmö-Stoccolma e d'inverno gestisce i treni per Åre, località sciistica. «Fino al 2017 non si batteva chiodo», dice Marco Andersson, capo delle vendite, «pensavamo di uscire dal settore. Poi la scorsa estate abbiamo assistito a un'impennata del 20 per cento. Al di là dei viaggi di lavoro, sta cambiando proprio l'idea di vacanza, chi vola in Thailandia non lo dice nemmeno ai parenti stretti».

La sindrome ha contagiato gli altri paesi scandinavi, il Regno unito, la Germania e anche la Francia. Un sondaggio della banca d'investimento svizzera Ubs ha stabilito che una persona su cinque in questi paesi (ma anche negli Stati Uniti aereo-dipendenti) nel 2019 ha ridotto il numero dei voli. Stando a Carlo Boselli, general manager di Eurail e Interrrail, «nel 2019 la scelta di utilizzare il treno per ragioni ambientali è stata determinante per oltre il 70 per cento dei passeggeri». La più grande società ferroviaria europea per il trasporto passeggeri, l'austriaca Öbb, ha registrato tra giugno e settembre un aumento del 10 per cento, su alcune tratte come la Vienna-Zurigo e la Monaco-Roma: «In luglio siamo stati costretti ad aggiungere due corse notturne per l'Italia», dice il portavoce Bernhard Reider.

Non si può che dare il benvenuto al ritorno di fiamma delle cuccette, rottamate con il boom dei voli lowcost a partire dagli anni Novanta; ma come la stanno prendendo le compagnie aeree? Parlando di fronte a 150 dirigenti il direttore generale della Iata, Alexandre de Juniac, ha detto che «se non si corre ai ripari saremo travolti. Il nemico non è il viaggio in aereo, ma le emissioni». Quindi si punta a ridurle in fretta, soprattutto aumentando l'uso del biocarburante (fa niente che per produrlo si occupano sterminate distese di monoculture). L'olandese Klm ha avviato una campagna per un «volo responsabile», che sembra autolesionista perché invita i passeggeri a prendere l'aereo il meno spesso possibile.

Quindi è verosimile quanto previsto dalla Ubs secondo cui gli ordini di Airbus e Boeing crolleranno del 110 per cento l'anno e che i prezzi dei biglietti saranno destinati ad aumentare. Così che i signori saliranno in carrozza o riprenderanno il piroscafo per New York, mentre tutti gli altri si attaccheranno al tram.

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