Vertice di minoranza

Anche senza dare troppo credito ai sondaggi e alla loro meccanica traduzione in voti reali, basta conoscere un po' l'Italia per sapere che a Caserta è riunito un «vertice di minoranza». Solo minoranza può essere ormai considerata l'alleanza che governa e che è rosa da una crisi di fiducia profonda e, al momento, incontenibile. Anche senza dare troppo credito all'informazione politica, basta conoscere un po' la geografia dell'Unione per sapere che dall'incontro non uscirà un messaggio chiaro e comprensibile. È impossibile. Benché Romano Prodi sappia tenere insieme «i suoi», sia un uomo tenace e capace di fronteggiare le grandi e piccole manovre in atto contro di lui, nel centrosinistra non c'è un solo partito, al di sopra o al di sotto del 2%, che non sia diviso al suo interno e che non ribalti le sue difficoltà sugli alleati. Provocando una progressiva paralisi. Non c'è alcun difetto di comunicazione: la maggioranza degli italiani è cosciente di questo limite strutturale. Ha consumato, sulla Finanziaria, una rottura dalle dimensioni inattese e non trova un solo motivo per restituire un po' di fiducia.
Questa è la stretta in cui si trovano «i vincitori di aprile». Hanno bisogno di recuperare consensi e per riuscirci devono tornare credibili, ma la credibilità si ottiene solo decidendo e non rinviando. Compiere delle scelte significa però pagare dei prezzi. Questo è il tabù che Prodi non vuole infrangere, aiutato dalle gabbie di questo bipolarismo imperfetto e incompiuto che hanno finora consentito all'Unione di reggere. La resistenza dei vertici politici, però, non ha arginato la sfiducia e la disillusione dell'opinione pubblica. Anzi l'ha accentuata, al punto che si è ricominciato a parlare della lontananza del cittadino dalla politica. Lo si è fatto per immergere e nascondere in un'informe melassa il fallimento del centrosinistra. Strano alibi e curiosa distorsione: quando la gauche rivela di essere estranea, come è, alle culture più moderne del Paese e cede nei sondaggi, la questione riguarda l'intera democrazia, mentre quando sono in difficoltà le forze liberali, come è successo negli anni del centrodestra, quando un movimentismo scomposto attraversa il Paese, è il trionfo della democrazia. Ma questo è un altro discorso.
Il problema di oggi, per Prodi e i suoi alleati politici e non politici, consiste nell'impossibilità di dire al Paese quello che vogliono fare e, soprattutto, di fare qualcosa per evitare di entrare - sono già sulla soglia - nel girone infernale della «sindrome della sconfitta». Sui sondaggi si può anche sorvolare per qualche mese, si può far finta di aver fiducia nel futuro, si può anche averla, ma dopo un po' di tempo quella sindrome scatta. In politica, scatta per tutti. Per la sinistra un po' di più, a causa dei suoi complessi di superiorità e per la sua convinzione di svolgere, comunque, un ruolo salvifico. È quindi in atto un conto alla rovescia.
L'incontro di Caserta non riuscirà a bloccarlo. In cuor loro non ci credono neanche i partecipanti. Non è un'impresa agevole far dimenticare la Finanziaria. Forse, il presidente del Consiglio ha commesso un errore fissando un appuntamento che è stato caricato di troppe attese. Un appuntamento con un'agenda che è stata prima riempita all'inverosimile e poi via via svuotata.

Che doveva segnare la rivincita di una parte della coalizione sull'altra e quindi un indiretto mea culpa. Al di là dei tentativi di mascherarlo, sottolineerà invece la continuità di una politica che non è considerata degna di fiducia.

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