Vignette, a Reggio la prima protesta islamica

Blindato il centro. Sfilano in duemila. Nessun incidente. L’imam venerdì aveva ricordato don Andrea Santoro

Gabriele Villa

nostro inviato a Reggio Emilia

Kamel è raggiante. Non solo per un giorno ha libertà di fare ciò che vuole, compreso scorrazzare avanti e indietro per il corteo. Ma può persino urlare. Anzi deve urlare. Naturalmente dentro il megafono che Driss Goussan, responsabile del centro culturale islamico di Reggio Emilia, gli ha affidato. Così Kamel, affiancato dal fratellino Said, che agita il cartello con su scritto «Allah è il più grande», infila uno slogan dopo l’altro: «Sì alla libertà di parola, no alla libertà d’offesa».
Cose impegnative, mica da ridere. Tantomeno da sorridere, come avrebbero dovuto fare le ormai fin troppe famose vignette su Maometto e che invece hanno scatenato l’inferno da un meridiano all’altro del pianeta.
Anche Driss Goussan è raggiante. Lui, affiancato invece dall’imam Hamam Mahamad, che non spiccica una parola d’italiano, si guarda attorno soddisfatto: «Siamo in duemila, e siamo stati i primi in Italia che sono riusciti a organizzarsi per sfilare in corteo, per gridare forte il nostro no all’intolleranza religiosa». Ci perdoni, signor Goussan ma, a proposito di intolleranza religiosa, quel cartello laggiù dove si legge «Prete vittima di evidente incoscienza» non ci è molto chiaro. Di chi è stata l’incoscienza? Forse di don Andrea Santoro che ha voluto fare il prete in una terra difficile o del fanatico islamico che l’ha ucciso?
«In effetti quel cartello è un po’equivoco, ma non ci sono dubbi su come la pensiamo: l’incoscienza è stata di chi ha ucciso il prete. Noi abbiamo subito condannato quell’omicidio. Siamo contro gli integralismi e contro i fanatici. L’Islam è una fede e una civiltà. Del resto anche l’imam di Reggio ha preso parte ieri alla manifestazione dei cattolici per ricordare don Andrea». Ma tant’è. Eccoci qui, anche noi con loro, gli islamici convenuti da mezza Italia, accompagnati da una colonna sonora assordante sotto gli occhi un po’stupefatti e un po’rassegnati dei reggiani che, in un pomeriggio di straordinario “burdel”, appiccicano il naso contro le vetrine di via Emilia a San Pietro dove il corteo prende le mosse.
Strade bloccate, Reggio blindata, carabinieri e baschi verdi della Guardia di finanza. C’è di che convincere la gente a spostarsi e ad accelerare il passo in una città dove solitamente la si prende con calma. L’unico che non si schioda, immarcescibile, davanti al suo banchetto di propaganda, è il consigliere comunale leghista, Gabriele Fossa. Anche lui nel giorno degli affiancamenti è affiancato da qualcuno, una guardia padana per la precisione. Provocazione? Chiedo. «Macché noi siamo sempre qui, siamo sempre stati qui tutti i sabati, e di qui non ci spostiamo, è il corteo che si deve spostare. Devono passare dall’altra parte se non gradiscono la nostra presenza. Certo che non facciamo un gran figura: la città del Tricolore che diventa famosa per la maratona riveduta e corretta da Prodi, e poi per la prima manifestazione in Italia contro le vignette pubblicate dai giornali del Nord Europa. Non potevano farla da qualche altra parte?».
In provincia di Reggio sono almeno cinquantamila, secondo l’ultimo censimento, i cittadini di religione islamica. Non pochissimi insomma. Certo fra loro, in tempi ancor recenti, c’era anche il sospetto terrorista Daki, espulso perché ritenuto «soggetto pericoloso», ma il resto, insiste e sottolinea Goussan, prima di tenere il comizio in piazza Libertà e leggere la lettera-appello al sindaco «per una legge internazionale che punisca la profanazione di ogni religione», è fatta di brava gente che vuol vivere in pace. E qui tutti lo sanno». Sarà.

Ma un po’la gente di Reggio Emilia c’è rimasta male per quella sosta di cinque minuti che il corteo ha voluto fare proprio davanti alla basilica di San Prospero, il patrono della città. «Almeno qui - dice con evidente disappunto una signora che inforca la bicicletta - i cori per Allah e il suo profeta avrebbero potuto anche risparmiarseli».

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