Neanche il fratello si fidava di lui ed evitava di lasciarlo solo con il figlio, il nipotino. «Aveva capito che qualcosa non andava» spiega il dirigente della squadra mobile Francesco Messina, sottolineando che «sono queste le storie di violenza più tremenda con le quali ci dobbiamo confrontare, quelle nate tra le mura domestiche, tra soggetti che si conoscono e si frequentano, creando così un clima di fiducia con la vittima fino a sottometterla e ad approfittarne». Storie nelle quali, cioè, gli adulti conquistano la stima dei piccoli, dei bambini. In cella, infatti, stavolta, grazie agli investigatori della quarta sezione della squadra mobile, diretti e motivati da un capo sempre più capace e specializzato - il vicequestore aggiunto Alessandra Simone - cè finito un ecuadoriano di 42 anni, regolare e incensurato, operaio in una ditta di Assago. Un uomo dallapparenza mite e benevola che - nonostante le sue tendenze pedofile e omosessuali (che probabilmente riusciva a nascondere agli estranei) - lavorava come giardiniere in una comunità di ragazzini difficili in provincia di Pavia. Volendo essere cinici, proprio luomo giusto nel posto giusto.
Lo straniero, però, tra la fine del 2007 e il settembre del 2008 non ha abusato di uno dei giovani membri della comunità, bensì di un ragazzino italiano di 10 anni (quando iniziarono le violenze ne aveva appena 8) che lì non avrebbe dovuto trovarsi. Il bimbo, infatti, frequentava la comunità per andarci a giocare, per trovare degli amici. (...)- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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