Vogliono far abortire la figlia Che fallimento quei genitori

Incapaci di educarla, vorrebbero risolvere i problemi in tribunale

Succede a Trento: incinta a 16 an­ni ha deciso di volere il bambino a tutti i costi. Ma i genitori sono contrari, perché lei è troppo gio­vane e il padre del nascituro è un albanese 18enne che vive in co­munità ed è un violento. La fami­glia chiede al tribunale di obbliga­re la figlia ad abortire.

La disperazione dei genito­ri che, incapaci di governa­r­e la propria figlia sedicen­ne,
 si rivolgono al Tribunale per i Minorenni affinché i Giudici la convincano ad agire come loro vorrebbero, è sintomatica del di­sordine mentale in cui vive la so­cietà di oggi.

Intanto, la responsabilità della crescita di una ragazza, almeno si­no al raggiungimento dei diciotto anni, è solo ed esclusivamente dei genitori. Della capacità educa­tiva, dell'accudimento, dell'at­tenzione quotidiana, e degli inse­gnamenti impartiti. Dell'autore­volezza acquisita giorno per gior­no, durante la difficile crescita e formazione della figlia.

È fuori luogo, e fuori dal diritto, ricorrere al paracadute del Tribu­nale dopo che la figlia ha combi­nato i guai che le è stato permes­so, di fatto, produrre.
In particolare, è paradossale chiedere al Giudice di ordinare al­la ragazza incinta di abortire, quando la scelta dell'aborto è un diritto e mai un dovere. È, per di più, incongruente, da parte dei ge­nitori, fallimentari nel ruolo diret­tivo della vita della figlia, ipotizza­re che un Tribunale possa mai de­cidere di fare uccidere il nipote. Per non dire della richiesta, sem­pre rivolta ai giudici, di fare allon­tanare il fecondo fidanzatino del­la ragazza, quando non solo non ci sono riusciti loro, ma hanno
 una figlia decisa a fare solo ciò che vuole, quindi in barba anche alle decisioni impossibili di un Tribunale. Esattamente come l'hanno «educata»: senza valori, senza rispetto dell'autorità e di se stessa, irresponsabilmente deci­sa a fare ciò che ritiene meglio per sé, senza sapersi organizzare un minimo di futuro concreto. Addi­rittura, a detta dei genitori, inna­morata di un ragazzo con prece­denti penali e votato alla violen­za. Dunque, incosciente, non lun­gimirante, ottusamente ottimi­sta. In nome del cosiddetto amo­re, che oggi viene sempre più con­fuso con l'attrazione sessuale e i guazzabugli ormonali.

Colpa evidente di una malinte­sa­educazione sessuale e della or­mai inesistente educazione senti­mentale.
Per non parlare della po­vertà di ideali che si offrono ai ra­gazzi di oggi, tutti basati sugli pseudovalori dell'immagine e sull'ambizione di conquistare obiettivi effimeri. Giovani infor­mati dei diritti infiniti che hanno conquistato, ma del tutto, e volu­tamente, inconsapevoli della re­ciprocità di ogni diritto a un corri­spettivo dovere. Questo è quasi certamente lo scenario nel quale è vissuta la ra­gazza e dal quale emergono, qua­li protagonisti della tragedia, pro­prio i genitori. Che, dopo aver pro­ba­bilmente voluto garantire la fe­licità alla figlia, dandole qualsiasi cosa potessero e permettendole qualsiasi cosa lei volesse, secon­do i dettami della più sbagliata sceneggiatura del ruolo genitoria­le, ora devono fare i conti con i ri­sultati disastrosi.

Conti che continueranno a pa­gare loro. Non solo in termini di delusione, ansie, dolore, ma an­che di denaro. Perché saranno proprio loro a farsi carico dei co­sti del mantenimento sia della fi­glia, sia del nipote. Nel nome cer­to indispensabile della legge. Ma anche nel nome altrettanto sicu­ro dell'amore genitoriale, capace di cancellare, come uno tzunami, struggimenti, affronti e qualsiasi dispiacere: pur di non vedere i fi­gli dibattersi nelle situazioni diffi­cili.

Spero che questa ragazza non decida di dare il figlio in adozio­ne, come sarebbe possibile. Spe­ro invece che si renda conto della grande responsabilità che si è as­sunta- probabilmente senza ren­dersene conto, nella spensiera­tezza del momento organizzato­le dagli ormoni - e che voglia af­frontarla fino in fondo. Anche con l'aiuto indispensabile dei ge­nitori: verso i quali, finalmente, dovrebbe imparare a essere umi­le e riconoscente; se non altro ca­pendo la potenza indistruttibile dell'amore genitoriale, nutrito e corroborato dalla fatica di ogni giorno.

Forse, però, riconoscente non riuscirà a esserlo: i figli sono convinti che l'amore dei genitori sia un diritto produttivo di tanti di­ritti.
L'unico amore, anche se pastic­ciato e incompetente, ma sempre gratuito e costosissimo, è quello discendente, cioè dei genitori per i figli. 

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