La prima volta che mastro Titta "passò ponte"

Il 22 marzo 1796 Giovanni Battista Bugatti a soli 17 anni eseguì la sua prima condanna a morte in nome del Papa Re. Nei successivi 68 anni, prima di andare in pensione, suppliziò o uccise 516 condannati

La prima volta che mastro Titta "passò ponte"

Fu il più celebre e «ammirato» boia di tutti i tempi dello Stato Vaticano: 68 anni di onorato servizio, 516 persone «tormentate» o giustiziate, usando l'impiccagione, la mannaia, la ghigliottina. Senza disdegnare la «mazzolatura», una forma crudelissima di morte, eseguita colpendo con una mazza il condannato in ginocchio. Sentenze che venivano eseguite in piazza, davanti a centinaia di spettatori, tra cui sicuramente Alexandre Dumas, George Byron e Charles Dickens. Una carriera iniziata a soli 17 anni il 22 marzo 1796 quando a Foligno impiccò e squartò il suo primo condannato a morte. Tutto questo fu Mastro Titta al secolo Giovanni Battista Bugatti nato a Senigallia il 6 marzo 1779 e morto serenamente nel suo letto a 90 anni suonati senza un'ombra di ripensamento sul «lavoro» svolto.

Descrivere l'attività di mastro Titta non può che far inorridire l'uomo del Duemila, ma quelli di Bugatti erano secoli di ferro. La tortura nelle inchieste giudiziarie era prevista dai codici penali ed era ipocritamente preceduta da una visita medica per accertare che l'indagato fosse in grado di sopportarla, Di conseguenza le punizioni erano altrettanto dure e spietate e a eseguirle venivano chiamati degli «specializzati» che si muovevano all'interno dei confini dello stato. Difatti la prima esecuzione di Mastro Titta fu a Foligno, dove appunto il 22 marzo 1796 impiccò Nicola Gentilucci, reo di aver ucciso un sacerdote, il suo cocchiere e due frati. Come spesso capitava, il giustiziato venne poi anche decapitato, la sua testa infissa su un palo e infine squartato e i «quarti» esposti ai quattro lati del patibolo. Il tutto in pubblico ovviamente. Le esecuzioni infatti avvenivano in piazza con tanto di annuncio di luogo e ora, per essere di monito al popolo. Ma anche diversivo. Tanto che in quei tempi era comune per i residenti della piazza scelta per l'esecuzione, affittare a caro prezzo finestre e terrazze agli spettatori più esigenti e abbienti. Allo «spettacolo» i genitori portavano spesso i figli a cui, appena ucciso il reo, rifilavano un violento schiaffone affinché ricordassero la fine che avrebbero fatto se non avessero rigato diritto. Memorie di questi eventi li troviamo nei racconti di Byron e Dickens, ma anche nella descrizione di Dumas nel suo «Conte di Montecristo». Troppo dettagliata per avervi assistito di persona.

Chiaramente un simile personaggio non poteva non alimentare storie, aneddoti e modi di dire come «Boia nun passa ponte». Bugatti infatti abitava sulla sponda destra del Tevere a ridosso dei palazzi vaticani, in via del Campanile 2 dove, se non era di servizio, vendeva e riparava ombrelli. Vista la sua attività gli era sconsigliato di farsi vedere troppo in giro e per questo non attraversava mai ponte Sant'Angelo. Da qui «non passare ponte» per «ognuno stia al suo posto». Viceversa quando «Mastro Titta passa ponte», qualcuno stava per essere giustiziato. In questo caso Bugatti si confessava e si comunicava quindi indossava il mantello rosso, ora esposto al museo Criminologico di Roma, e «passava ponte». Andava cioè a compiere il suo ufficio in Campo dei Fiori, in Piazza del Popolo o nella Piazza del Velabro dove venivano innalzati i patiboli. Per questo usava molti sistemi: i più tradizionali erano la mannaia, il cappio ma anche una pesante mazza con la quale abbattere il condannato come un vitello al mattatoio. Fino a quando dalla Francia arrivò la «rivoluzionaria» ghigliottina che farà di mastro Titta «l'uomo più moderno di Roma». Almeno stando alle ultime parole attribuite al carbonaro Leonida Montari, giustiziato insieme a Angelo Targhini il 23 novembre 1825, la cui vicenda viene narrata nel film di Luigi Magni «Nell'anno del Signore».

Perché mastro Titta entrò di prepotenza anche nella letteratura. Oltre che di Montanari lo troviamo protagonista dell'esecuzione del brigante don Bastiano nel «Marchese del Grillo» di Mario Monicelli e in «Rugantino», interpretato a teatro da Aldo Fabrizi e al cinema da Paolo Stoppa. Mastro Titta viene citato anche da Giuseppe Gioacchino Belli che, in un sonetto del 1830 descrive l'esecuzione di Antonio Camardella. Avvenuta però nel 1749, cioè 30 anni prima che Bugatti nascesse. Ma tanta era la sua popolarità che ormai «mastro Titta» era sinonimo di «boia».

Difatti quando nel 1864 dopo la sua ultima esecuzione avvenuta il 17 agosto, Bugatti andò in pensione, con scudi 30 di pensione mensile, anche il suo successore Vincenzo Balducci prese immediatamente il nome del suo «illustre» predecessore. Mastro Titta si ritirò nella sua casa di via del Campanile, dove morì il 18 giugno 1869, dunque alla bella età di 90 anni suonati. Forse senza nemmeno immaginare di popolarità di cui avrebbe goduto negli anni a venire.

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