Wembley, una finale, un’italiana Ho capito cos’era un’emozione

La fortuna di assistere, dal vivo, a due finali mondiali vinte dall’Italia, non mi ha lasciato il brivido che non scordi più. Nel 1982 ho sentito scorrere l’emozione ed a quella mi sono fermato. Nel 2006 mi sembrava di stare al bar bevendo un caffè. Detto questo per spiegare che la stravaganza sta nell’essermi legato ad un incontro che non ho visto dal vivo e nemmeno in diretta. E per una ragione non legata al tifo, ma all’importanza dell’evento personale. La mia partita resta, e credo rimarrà, la finale di coppa Campioni (22 maggio 1963 a Londra) fra Milan e Benfica, la prima giocata da una squadra italiana, ma soprattutto la prima seguita, annusata, vissuta dal sottoscritto, ragazzino appassionato di calcio. Tifo sempre per la squadra italiana che gioca una finale. Ma quella volta ho scoperto il senso dell’emozione, la voglia di gridare, saltare, esultare.

Occhi di bambino sbarrati davanti agli splendori di Altafini (2 gol che valsero il successo), alla bravura di Rivera, alla simpatia per Benitez, Trapattoni, Pivatelli e Sani. Bellissimo! E oggi, quando incontro Altafini o Rivera, Trapattoni o Maldini, vorrei ancora abbracciarli.

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