da Madrid
«Ha vinto perché è stato il miglior stratega e dunque il miglior politico. Deve ancora dimostrare, però, di essere il miglior statista». Questo giudizio, magari un po aspro di un portavoce dellopposizione definisce però il dilemma in cui si trova José Luis Rodriguez Zapatero dopo la rielezione. Il Partito socialista ha vinto, migliorando le posizioni «irraggiungibili» delle «elezioni irachene» di quattro anni fa, e dunque ha stabilizzato il proprio ruolo; però non ha agguantato la maggioranza assoluta come sembrava possibile fino alla penultima ora e ha anzi perduto per strada uno degli alleati, la Esquerra Republicana di Catalogna, dimezzata alle urne, mentre il Partido popular, pur sconfitto, è aumentato in voti e in seggi. In Spagna ci sarà dunque la continuità, ma un poco più difficile.
Il premier rieletto sembra rendersene conto e, pur nellentusiasmo dei suoi seguaci per la vittoria (che ha definito «netta»), ha scelto come nuovo slogan programmatico un modo nuovo di governare. Nelle sue parole, anzi, «hay que gobernar mejor», bisogna governare meglio. «Riforme liberali», dunque, a cominciare da «nuovi impulsi alleguaglianza fra i sessi», un divorzio più rapido, il riconoscimento del matrimonio fra omosessuali; ma anche un maggiore impegno per leconomia, che non è affatto tranquilla, con disoccupazione e inflazione in aumento dopo lunghi anni di boom della Spagna. Ma soprattutto una apertura allopposizione. Zapatero ha definito «prematuro» un discorso sulle alleanze, di cui i socialisti hanno bisogno e che per qualche aspetto sono più difficili. il Psoe dispone di 169 seggi su 350 e gliene mancano dunque 7 per far maggioranza. Si può permettere però di scegliere in qualche misura fra i potenziali alleati, in primo luogo con lunico che è uscito rafforzato dalle urne, la Convergencia i Uniò, degli autonomisti catalani.
Zapatero tende la mano, più cautamente, anche alla componente moderata fra i nazionalisti baschi. Ma la novità della sua impostazione riguarda soprattutto i rapporti con la destra, cioè con lopposizione. «Il metodo - ha detto Zapatero - sarà il dialogo e la concertazione sociale». Il Partito popolare, insomma, deve diventare una sorta di «opposizione di Sua Maestà», un avversario e non un nemico come a volte è parso durante le ultime due campagne elettorali. Un obiettivo che sarà raggiunto più facilmente - ma questo il premier socialista non lo ha detto - se ci sarà un rinnovamento nella leadership del Pp, che non può avvenire altro che con la sostituzione di Mariano Rajoy. Che non sarà facile senza il consenso dellinteressato (adombrato per la verità nelle prime dichiarazioni), in quanto lesito del voto è stato per il centrodestra a due facce: la conferma di non essere primo, ma anche un aumento di voti. Se questultima valutazione prevarrà, Rajoy potrebbe restare.
Se prevarrà invece unanalisi basata sulla necessità di abbassare i toni per riconquistare una pur piccola fetta dellelettorato moderato, allora potrà avviarsi, magari non subito, un «cambio della guardia».
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