Dice: «Faccio parte del sistema e mi sono adeguato». Parla di sé: dalluomo ragno alluomo robot. Schiacci un tasto e fa quello che vuoi. Ma poi gli sfugge. «Viviamo in questo mondo ed è un mondo che fa schifo. È il sistema che non funziona, troppo comodo impedire che la gente vada in trasferta: serve prendere decisioni per evitare che accada quel che accade». Si è già rotto il robot, è tornato Walter Zenga.
Sarà così anche oggi. Luci a San Siro, eppoi via con la fantasia: una testa duovo sodo al posto di quel ragazzo dal ciuffo un po così e dai capelli che, alla lunga, tradiranno il proprietario, eppoi una serie di flash back: Zenga e quelli dellInter che vinceva... Zenga e il Trap... Zenga e Bagnoli... Zenga e i faccia a faccia con Matthaus... Zenga e quelli della curva... Zenga e i cori di San Siro... Zenga che canta «Hanno ucciso luomo ragno, chi sia stato non si sa...», Zenga con il pallone, che poi non si discostava molto da Zenga con il microfono e una telecamera ad inquadrarlo... Zenga con le donne... Zenga con gli amici... Zenga e quel vizio da giramondo... per amore e per forza, per dovere e per necessità.
Revival di pochi attimi, perchè poi dovrà sedersi sulla panca e capire quantè dura quella di San Siro. San Siro e lInter sono stati casa sua per 22 anni. Cè tornato tre volte da avversario: altra storia, altro feeling, non ancora un altro Zenga. Molto diverso quello che stasera si presenterà con la giacca dordinanza del Catania. «Faccio parte del sistema» e gli scappa lo sghignazzo. Che poi diventa un sospiro, quando pensa di aver fatto parte anche della storia dellInter. Sì, qualche ferita cè ancora. Una frase che, di tanto in tanto, gli sfugge tra una intervista e laltra. «Avrei meritato altro rispetto».
Cè tutto nel suo vai e vieni di sentimenti e di contraddizioni: guascone e romantico, bizzarro e dominato dalla follia di chi è già più avanti degli altri, innovatore in certe scelte, intuitivo nel capire la forza dellessere e dellapparire, pronto a rimettersi in gioco e per gioco. Cè la Tv? E lui ci prova, senza cavarsela male. Cè una squadra in America e lui ci va, cercando lesperienza. Cè una squadretta milanese da far giocare allArena e perchè no? Ha provato fortune alterne sulle panche romene, serbe e turche, ha vinto e qualche volta fallito. Una volta se ne va con tanto di onori ed unaltra cambiando aria velocemente, visto lambiente. Zenga è stato personaggio senza fatica, ce laveva dentro. Simpatico o insopportabile, a seconda delle lune. Se aveva qualcosa da dire, non aspettava i giornalisti. Li andava a pescare lui. A differenza di molti giocatori, leggeva. Leggeva i giornali, per poi dire la sua. Sempre un po off, poche volte out, ha inseguito sogni e amori. Evitando il ridicolo. Al massimo prendendosi le critiche.
Però, a San Siro, lInter farà i conti con un altro Zenga, quello che avrebbe voluto sedersi sulla sua panchina e magari avrebbe potuto, quando Moratti stava per cacciare il suo amico Mancini. Prima o poi potrebbe accadere, chiudere quel cerchio di vita e di passione nato a San Siro, quando papà Alfonso lo portò a vedere lInter contro il Brescia: finì 6-1. E da allora San Siro continuò ad essere lo stadio del brivido. «Lo sarà anche stavolta. Impossibile non lo sia, impossibile non emozionarsi». Ci sono giocatori ed ex, allenatori e presidenti che raccontano emozioni come avessero un ciclostile. Walter Zenga, anni 48, occhi che ormai sembrano fessure, in questo senso è doc. Marchio garantito. «A San Siro i brividi mi vengono sempre, anche quando ci vado per commentare una partita. Figuriamoci stavolta».
I sentimenti sono quelli del tifoso che stava in curva, del portiere che amava e odiava, soffriva e si esaltava. Ora il tecnico si è messo la corazza, in Sicilia ha ottenuto una salvezza che gli ha regalato tempo per farsi credere e riconoscere. Sa bene che il Catania non ha mai vinto a San Siro contro lInter e da un anno non vince fuori casa. Cè un momento per sognare ed uno per giocare. Fino a stasera Zenga sognerà. Facile immaginare.
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