Società alle prostitute per beffare il fisco

L’ultima frontiera dell’evasione fiscale sono le prostitute brasiliane. Prestanome decisamente particolari, le aveva scelte il commercialista milanese Antonio Carlomagno, arrestato ieri dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Como. A loro, infatti, il professionista avrebbe intestato decine di società con sede in paradisi fiscali, attraverso cui esportare illegalmente capitali nascosti in un gioco di scatole cinesi, false fatture, bilanci truccati. In cambio di qualche centiana di euro, le «lucciole» firmavano i documenti. E la truffa all’Erario era cosa fatta.
Carlomagno - il cui nome compare anche nell’inchiesta «Tenacia» della Dda di Milano sui rapporti fra cosche e imprenditori in Lombardia - è dunque considerato la mente di un complesso sistema di ingegneria fiscale. A lui si rivolgevano piccoli e medi imprenditori. Nessun nome eclatante, ma secondo gli inquirenti il fenomeno è ugualmente sintomatico di una prassi assai diffusa. Nell’inchiesta condotta dal pubblico ministero di Como Giuseppe Rose, inoltre, è indagato anche il direttore di una banca di Erba, presso la quale venivano aperti i conti correnti delle società coinvolte, una decina in tutto quelle lombarde. Come ricostruito dagli investigatori, sarebbero state trasferite fittiziamente le sedi di società italiane nel Delaware (Stati Uniti), così da sottrarre imponibile al fisco. Le società, infatti, continuavano a operare in Italia e ad essere amministrate di fatto dallo stesso commercialista. I trasferimenti di sede all’estero erano preceduti da cambi nella proprietà dell’impresa, che spesso finiva formalmente in mano a prestanome. E molte delle «teste di legno» erano appunto prostitute brasiliane, reclutate direttamente dal commercialista. Oltre a Carlomagno sono stati denunciati a piede libero, per concorso nei reati tributari, anche un maresciallo in servizio a Milano già arrestato e ora indagato per concussione, e altri due professionisti, mentre il direttore di banca è accusato di favoreggiamento. Il valore complessivo dell’evasione non è stato ancora quantificato, ma gli inquirenti ritengono che si tratti di diversi milioni di euro. E al commercialista, il cui studio è in pieno centro a Milano, sono stati sequestrati beni per 250 mila euro.
Il nome di Carlomagno, come detto, compare anche nell’ordinanza di custodia cautelare firmata nel luglio dello scorso anno dal gip Giuseppe Gennari, su richiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che portò a galla il fenomeno dell’infiltrazione della mafia calabrese nel nord Italia e in Lombardia, e si concluse con oltre 300 arresti. Secondo la Procura di Milano, infatti, Carlomagno sarebbe stato la mente finanziaria di un’operazione che permise alla «Perego strade srl» (riconducibile alla cosca degli Strangio, che gestiva per conto della ’ndrangheta le infiltrazioni di imprese calabresi nei lavori pubblici) un aumento fittizio del capitale sociale, attraverso una sopravalutazione dell’azienda «Iris srl» (posseduta al 100% dalla Perego Holding spa e costituita dalla cava per estrazione di sabbia e ghiaia nel comune di Ghislarengo), stimata oltre 4 milioni di euro, con 3 milioni a incremento del capitale sociale e un milione accantonato sotto la voce ambigua di «altre riserve».

È la «mafia imprenditrice», secondo la definizione dell’allora procuratore della Repubblica Manlio Minale. Niente più omicidi o sequestri. Piuttosto, il peso economico e le conoscenze giuste per controllare l’economia di una regione.

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