Arriva, con un certo ritardo, un nuovo tentativo di Generali di respingere i tanti timori sollevati da più parti circa i contorni dell'operazione Bpce-Natixis. La partnership sull'asse Trieste-Parigi, sancita dal memorandum d'intesa non vincolante siglato lo scorso 21 gennaio e riguardante 1.900 miliardi di masse gestite (di cui 630 miliardi di risparmi degli italiani), se andrà in porto impiegherà diversi anni prima di produrre concreti benefici. A questo si aggiunge la spada di damocle di una penale da 50 milioni di euro che scatterebbe in caso di mancata finalizzazione dell'operazione per cause riconducibili a una delle parti. Un ulteriore elemento di complicazione considerando che all'orizzonte c'è l'assemblea del prossimo 8 maggio, chiamata a nominare il nuovo consiglio di amministrazione. Nel caso a maggio i soci capitanati da Delfin (famiglia Del Vecchio) e Caltagirone - ostili all'attuale management e contrari all'intesa con i francesi - avessero la meglio, si configura il concreto rischio di dover prendere in mano un'operazione di così grande rilevanza, che deve anche passare al vaglio del governo per le valutazioni in materia di golden power, portata avanti con fretta a ridosso della fine del mandato triennale e con anche l'aggravio di una pesante penale in caso di differenti valutazioni da parte del futuro team di comando.
Come dettagliato da un lungo documento diffuso ieri, e volto a placare i dubbi sorti in queste settimane sull'operazione, la creazione di valore - stimata in oltre 1 miliardo di euro - si dispiegherà molto gradualmente, in non meno di 10 anni. I primi impatti positivi sull'utile del gruppo triestino, nell'ordine di 50 milioni di euro, sono attesi solo dal 2028, ossia quando finirà l'effetto del dividendo preferenziale previsto per i francesi i primi due anni (per un ammontare complessivo di 250 milioni). Nei primi due anni, ossia 2026 e 2027, il dividendo preferenziale a favore della casa-madre Bpce porterebbe l'impatto complessivo dell'operazione fra -25 milioni e zero. La compagnia guidata da Philippe Donnet (in foto), una volta esaurito l'impatto degli oneri di integrazione e con le sinergie attese andare a regime (210 milioni annui), prevede invece che dal 2030 l'impatto della joint venture sull'utile netto rettificato del gruppo triestino lieviti a oltre 125 milioni annui. Per quanto concerne i delicati equilibri di governance, Trieste sottolinea che non è sua intenzione ridurre la partecipazione paritaria prevista dal memorandum, «nè esistono previsioni contrattuali che possano costringere» a ridurre i propri diritti di governance. Il cda della nuova entità sarà composto da un numero paritario di consiglieri designati da ciascun partner, con l'aggiunta di tre membri indipendenti individuati congiuntamente dai due partner, oltre che dal ceo della joint venture che per i primi cinque anni sarà Woody E. Bradford, in quota Generali.
La maggiore compagnia assicurativa italiana è tornata anche sulla delicata questione del controllo dei risparmi degli italiani, riaffermando che Generali e il suo cda continueranno a definire le linee guida strategiche di investimento e l'asset allocation.
Il Leone ribadisce infatti che «ciascuno dei due soci manterrà il potere decisionale pieno ed esclusivo sui propri attivi assegnati in gestione alla joint venture». Non certo casualmente, Generali porta ad esempio la gestione dei Btp, spiegando dettagliatamente come a decidere quale è l'allocazione voluta in titoli di Stato e la rispettiva quota da ripartire tra i vari Paesi sarà la compagnia di assicurazione «dandone specifica indicazione alla società di gestione che rimane vincolata a questa scelta. Alla luce di ciò, l'operazione con Bpce non avrà alcun impatto sull'allocazione dei Btp» in capo al gruppo, che come indicato settimana scorsa a margine della presentazione del nuovo piano Lifetime Partner ammonta a 36,7 miliardi di euro e su cui il direttore finanziario Cristiano Borean era stato elusivo circa l'intenzione del gruppo di aumentare o diminuire tale esposizione.
Come noto, la nuova entità avrà sede nella «neutrale» Amsterdam e Generali puntualizza che non si prevede alcun trasferimento di valore fuori dall'Italia, ossia non ci sarà una riduzione delle imposte assolte in Italia. Anzi, Trieste ritiene «plausibile» che l'onere fiscale italiano aumenti per effetto di due fattori: la creazione di un altro livello nella catena societaria in Italia, con conseguente ulteriore tassazione dei dividendi; e l'aumento dei dividendi previsti per Generali per effetto della creazione di valore generato dalla jv.
Infine, tra i paletti dell'accordo emersi solo ieri, c'è anche l'obbligo previsto Oltralpe di consultare preventivamente gli organi che rappresentano i lavoratori prima di assumere impegni vincolanti definitivi circa l'operazione (entrambi i gruppi coinvolti dispongono di organi di rappresentanza in Francia).
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