Due belle mostre sono attualmente dedicate alla poco conosciuta in Italia Berthe Morisot, una al Palazzo Ducale di Genova e l'altra alla Galleria d'Arte Moderna di Torino. La prima, fra dipinti, foto e documenti d'archivio, a cura di Marianne Mathieu; la seconda, con opere da collezioni pubbliche e private, a cura di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin.
Tra i fondatori del gruppo degli impressionisti, la nostra Morisot riveste un ruolo di primo piano. Affascinata dalla sensibilità paesaggistica della Scuola di Barbizon e, in particolare, dalla luminosità di Corot - del quale è allieva - e dalle trasparenze di Daubigny, aderisce spontaneamente alla nuova verve artistica: lo stesso Degas arriva a dire che di lei non si può fare più a meno. Sembra ormai lontano il tempo in cui lo spettatore di un'opera d'arte si perde, sgomento, fra le nuvole di Constable, i «geroglifici del cielo», o il sublime di Turner, fra le visioni mistiche di Blake o le rovine gotiche di Friedrich. Il Romanticismo è stato messo alla porta da un gruppo di giovani artisti che negano la poetica dell'assoluto a favore dell'immensità delle percezioni intime.
Così si apre la strada a quello che noi tutti conosciamo come Impressionismo. Siamo alla fine dell'Ottocento, e in particolare nella primavera del '74, quando alcuni giovani artisti, rifiutati dal Salon ufficiale, si riuniscono nell'atelier del fotografo Nadar per esporre opere che vengono giudicate antiaccademiche, scandalose, sciocche, insensate e persino orribili. Manet, Pissarro, Monet, Morisot, Degas o Renoir sono tutti artisti liberi, aperti al dialogo e alla spontanea conoscenza reciproca, giovani che si riuniscono, al calar della sera, al Caffè Guerbois, per scambiarsi idee, opinioni, suggerimenti.
La mostra indipendente si manifesta, alla fine, come un vero e proprio disastro, sia nel numero dei visitatori, che nelle vendite: anche il pubblico sembra sposare la causa della giuria del Salon. Chi viene a sbirciare lo fa unicamente per ridicolizzare i nuovi intenti di quelle «canaglie», come vengono definiti dalla critica del tempo.
Non c'è alcun intento politico o sociale in quest'arte, non c'è nessuna rappresentazione romantica o naturalistica del mondo. La realtà viene interiorizzata, abbracciata dallo sguardo e dalle intuizioni che ne scaturiscono, per essere poi restituita nelle fattezze di un lirico brano d'esistenza vissuta. È la vittoria della sintesi sul dettaglio, della coscienza sulla meditazione, in un magistrale contrappunto di luci e ombre che mette scientificamente in risalto il soggetto ritratto - animato o inanimato che sia - per abbandonarlo quindi all'interiorizzazione poetica dell'artista. C'è allora chi dipinge en plein air per catturare le vibrazioni della natura, c'è chi lo fa invece nel proprio studio, omaggiando il potere dell'esperienza, del ricordo vissuto.
Sono trascorsi centocinquant'anni dal vernissage della famosa mostra di Parigi del 15 aprile del 1874. All'epoca, dopo appena dodici anni, si chiude la parabola dell'Impressionismo ufficiale, con un'ultima mostra, datata 1886. Arrivano allora riconoscimenti e fama, secondo quel tipico adagio della post funera virtus che connota i limiti dell'uomo al riconoscimento della propria abilità creativa.
Berthe Morisot posa per Manet, che conosce durante una visita al Louvre e del quale diventa persino cognata, sposandone il fratello Eugène, s'innamora dell'originalità delle nuove intuizioni degli amici del Caffè Guerbois, non si perde un evento, fa in modo che la sua casa diventi un centro culturale, in cui saranno ospiti, amici pittori a parte, personaggi del calibro di Zola, Mallarmé e Rossini. Morisot è attratta dalla dimensione intima e familiare. I suoi sono perlopiù paesaggi domestici, luoghi d'incanto rassicuranti, in cui vengono raffigurate l'amata figlia Julie o la sorella, ma anche delicatissime vedute paesaggistiche. Il morbido disvelamento del soggetto si stende allora fra la dolce soavità della luce, l'ipnotico concerto dei colori chiari, le pennellate leggere e rapide e le sognanti atmosfere ricreate.
La culla è una delle nove opere, tra oli, pastelli e acquerelli, esposta alla celebre mostra del '74 e che non viene risparmiata dall'onda diffusa di sdegno e rancore. Persino sua madre - donna colta ed elegantissima, nonché pronipote del grande Fragonard - preoccupata dell'accaduto, chiede aiuto a Guichard, il vecchio maestro di pittura di Berthe e della sorella Edma, che finisce anch'egli per giudicare «quell'ambiente deleterio».
Eppure la nostra Morisot, tenace, forte, anticonformista per indole, prosegue per la sua strada, in un ambiente tutto al maschile, al di là d'ogni critica e della propria condizione di donna, moglie e madre, cosa che all'epoca viene giudicata come inammissibile. Se poi pensiamo al fatto che, sposata, continua a firmare i quadri con il cognome da nubile, possiamo ben intuire fino a quale punto si spinge il suo desiderio di emancipazione. Bisognerà aspettare tuttavia gli ultimi anni di vita per ricevere finalmente i tanto desiderati apprezzamenti.
E naturalmente, a un anno dalla sua morte, nel 1896, arriva la prima personale a lei dedicata, fra tele, acquerelli, disegni e, al contrario degli altri impressionisti, persino bozzetti preparatori, funzionali all'indagine psicologica ed espressiva dei suoi personaggi.
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