L'Iran sventola la minaccia atomica: fino a oggi si parlava di missili balistici, di un anello di fuoco formato dai suoi proxy pronto a lanciarsi in battaglia. Adesso, alla vigilia delle elezioni americane, è chiaro che le sue invettive sottendono una pressione decisiva del governo americano che cerca la rielezione su Israele. È stato il leader supremo Ali Khamenei a promettere di nuovo una vendetta invincibile e indimenticabile, ma prima di lui aveva parlato un suo importante consigliere militare, Kamal Kharrazi, comunicando che se Teheran fosse esposta a «una minaccia esistenziale» potrebbe rivedere la sua dottrina nucleare, usando la bomba atomica ormai pronta.
Il fatto che la minaccia atomica venga rinnovata oggi denuncia un cambiamento che contraddice, dopo tutto, la minaccia stessa, una difficoltà e si può dire tranquillamente una paura di fondo. Khamenei ha detto lui stesso che l'attacco di Israele di una settimana fa ha portato danni che solo adesso cominciano a essere evidenti: l'Iran è accecato dei suoi radar e dei suoi sistemi di difesa missilistica, colpito nelle sue fabbriche d'armi, di missili e di droni, privato della benzina solida per i missili balistici. Nel frattempo i missili degli Hezbollah sono ridotti di una percentuale che taluni vogliono all'80%, Hamas è agli ultimi respiri.
La scelta strategica di Israele di superare la sua consueta guerra di contenimento (che ha portato al 7 ottobre) per scegliere lo scontro risolutivo che porti a una pace di lunga durata è certamente molto rischiosa, ma ha anche un evidente valore di dissuasione. L'esercito in Libano smonta casa per casa, villaggio per villaggio, depositi enormi stupefacenti di armi iraniane accumulate da 15 anni, tutte destinate agli attacchi. L'Iran sembra fare molto rumore senza decisioni precise: l'eliminazione dei grandi capi carismatici dei sui movimenti jihadisti fondamentali, sia sciiti sia sunniti, è molto significativo in un mondo messianico. Esso può sostituire, certo, tecnicamente, i suoi uomini, ma non ha un ricambio alla pari con gli elementi carismatici come Nasrallah e Sinwar. La confusione è evidente. In più l'Iran al momento non ha più Hezbollah neanche come cuscinetto territoriale, né può più assediare Israele anche se certo può seguitare ad alimentare il terrorismo che lo tormenta dal West Bank e il bombardamento che lo tortura dal Libano ogni giorno con morti e feriti.
Israele però scegliendo la strada della deterrenza sostanziale punta proprio sulla trasformazione strategica dell'area intera: non lascia spazio a manovre psicologiche nemmeno alla vigilia delle elezioni americane, anche se lascia la porta aperta, per esempio, ai tentativi di Hochstein, l'inviato americano, di inventarsi un nuovo accordo 1.701.
Israele cerca fatti, l'Iran minaccia di attaccare valutando tuttavia se deve fermarsi e tirarsi indietro dalla strategia dell'aggressione cambiando strada, o se questo è un passo troppo costoso, che metterà anche in crisi la sua piramide di potere. Ancora è difficile prevedere il futuro. Ma alla fine le strutture atomiche sono la posta, e certamente Israele non ne è ignara.
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