Il tabù della destra: aumentare le tasse

Nell'area moderata si può scherzare su tutto meno che sul fisco. Anche perché la situazione non è delle più semplici: si parla, infatti, di una riforma fiscale in Italia da tempo, il governo ha già varato dei provvedimenti (taglio del cuneo fiscale fino a 35mila euro di reddito e la rimodulazione delle aliquote Irpef da quattro a tre scaglioni)

Il tabù della destra: aumentare le tasse
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C'è un dato su cui tutti i partiti del centro-destra, nessuno escluso, dovrebbero riflettere: per loro ogni ipotesi di aumento delle tasse è letale quanto la kryptonite per superman. Già il solo ventilarlo fa collassare il rapporto con l'elettorato di riferimento. Perché la questione fiscale fa parte del Dna della coalizione, né è stata la constituency originaria, l'elemento che ha messo d'accordo partiti che su molte questioni hanno posizioni diversissime. L'argomento, quindi, va maneggiato con cura. Non può essere gettato lì a caso come, duole dirlo, ha fatto il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Se la motivazione principale che lega l'elettore al centro-destra viene meno, se si dissolve il rapporto di colleganza, se l'attuale coalizione di governo non è più un punto di riferimento su questo tema, è fatale che venga meno anche il consenso: quando nel dicembre del 2022 l'attuale esecutivo decise di cancellare lo sconto sulle accise della benzina deciso da Mario Draghi, nei sondaggi il partito della Meloni perse nel giro di un mese 2 punti percentuali. Un aumento delle tasse, reale o ipotizzato, provoca un trauma tra gli elettori del centro-destra, viene meno la fede. È come se il Papa si affacciasse dal balcone di piazza San Pietro per dire che Dio non esiste. E del resto nell'immaginario politico in qualsiasi luogo del mondo, in qualsiasi schema bipolare, se ti definisci polo liberale, partito conservatore o schieramento di destra da te ci si aspetta una riduzione delle tasse o, se bisogna rimettere in sesto i bilanci, un taglio delle spese. L'esatto contrario di ciò che, invece, evoca la sinistra nelle sue variegate forme. Anche Mario Draghi ne tenne conto nella sua breve permanenza a Palazzo Chigi. Motivo per cui se la premier si è davvero infuriata per la sortita del ministro dell'Economia, aveva più che una buona ragione. Nell'area moderata si può scherzare su tutto meno che sul fisco. Anche perché la situazione non è delle più semplici: si parla, infatti, di una riforma fiscale in Italia da tempo, il governo ha già varato dei provvedimenti (taglio del cuneo fiscale fino a 35mila euro di reddito e la rimodulazione delle aliquote Irpef da quattro a tre scaglioni) e nel cantiere della manovra ce ne dovrebbero essere altri, solo che secondo l'Istat la pressione fiscale in un anno è aumentata dello 0,7% rispetto allo scorso anno ed ha toccato la soglia del 41,3%.

Ecco perché puoi parlare di tutto meno di aumento delle tasse, che sia camuffato o meno poco importa. Anzi, semmai devi tentare l'impossibile per favorire una riduzione della pressione fiscale in una fase in cui c'è un progressivo impoverimento del ceto medio. Poi certo il ministro Giorgetti ha i suoi problemi, incombe il nuovo patto di stabilità europeo e sulle spalle c'è il macigno di un debito pubblico spropositato. Solo che la via maestra per tenere a posto i conti può essere solo quella del taglio della spesa.

Un'operazione complicata, difficile ma che alla coalizione di centro-destra costerebbe sicuramente meno in termini di consenso. Anzi, nel nostro disgraziato Paese l'adozione di una simile filosofia rappresenterebbe una rivoluzione. Una rivoluzione davvero liberale.

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