Per otto anni ha corso con un coltello tra i denti, ma ora rischia di romperseli e farne cadere un paio anche al premier Bibi Netanyahu. Quando nel 2002 Meir Dagan si ritrovò promosso alla guida del Mossad da Ariel Sharon sapeva cosa il vecchio compagno darmi voleva da lui: una guida spregiudicata, una leadership priva di scrupoli, un crescendo dazioni temerarie capace di risvegliare nei nemici dIsraele le antiche paure.
Per farglielo capire «Arik» non usò giri di parole. «Meir da te mi aspetto gli disse - un Mossad con il pugnale tra i denti». Da allora Meir Dagan non si è mai fermato. Con lui al comando, il Mossad è tornato a essere unimplacabile macchina di morte e terrore, capace di eliminare gli scienziati iraniani, sabotare gli impianti nucleari di Teheran, far saltar la testa a un imprendibile capo di Hezbollah come Imad Mughnyieh, scoprire e distruggere uninstallazione atomica nel cuore dei territori di Damasco, far saltare in aria, sempre in Siria, una fabbrica di armi chimiche, annientare in mezzo ai deserti del Sudan convogli darmi diretti a Gaza. Ma quelle carezze a colpi di bombe e pugnale rischiano ora di mettere a repentaglio la carriera di Dagan e del premier Netanyahu. La carezza fatale è quella allungata a Mahmoud Al Mabhouh, lufficiale dellala militare di Hamas responsabile dei traffici darmi con lIran, trovato morto nella stanza di un lussuoso hotel di Dubai il 20 gennaio. A dar retta alla ricostruzione pubblicata ieri dal Sunday Times di Londra e attribuita a una fonte del Mossad il piano per leliminazione di Al Mabhouh sarebbe stato approvato da Netanyahu in persona durante una visita alla cosiddetta «midrasha», il quartier generale dei servizi segreti situato su una collinetta alla periferia settentrionale di Tel Aviv. Agli inizi di gennaio - secondo il racconto - due Audi nere blindate avrebbero scaricato Bibi davanti alla «midrasha» dove lo attendeva il 64enne Meir Dagan. I due avrebbero ascoltato assieme la preparazione del piano esposta da alcuni dei sicari scelti per leliminazione del grande armiere di Hamas. Soddisfatto del piano Bibi avrebbe concesso limmediato via libera dicendo: «Il popolo dIsraele ha fiducia in voi, buona fortuna».
Prima di tirare conclusioni affrettate sul futuro del capo del Mossad e del premier bisogna, però, considerare la diversa percezione con cui rivelazioni del genere sono accolte nello Stato ebraico e nel resto dEuropa. Quel che da noi suonerebbe come una sicura condanna alle dimissioni viene percepito in Israele come un segno di determinazione e di capacità di comando. Quel che rischia di far la differenza è, invece, la qualità delloperazione. Meir Dagan e il suo primo ministro dovranno incominciare a preoccuparsi soltanto se la scarsa attenzione prestata alle telecamere nellalbergo di Dubai porterà allarresto di alcuni membri del commando o determinerà unimbarazzante crisi internazionale capace di compromettere i rapporti dIsraele con i Paesi amici.
Da questo punto di vista la possibile involuzione del caso rischia di trasformarsi in un autentico déjà vu per Bibi Netanyahu protagonista - nel settembre 1997 - di un caso analogo svoltosi in Giordania. Quella volta i sicari del Mossad cercarono di eliminare con uniniezione di veleno in un orecchio il capo di Hamas Khaled Meshaal in esilio ad Amann, ma furono catturati dai servizi segreti giordani. Per riavere indietro i due agenti Netanyahu fu costretto ad autorizzare la consegna di un antidoto che salvò la vita a Meshsal e garantì la liberazione dei due killer israeliani. Quellazione segnò linizio del periodo più buio del Mossad e rischiò di comprometterne definitivamente la fama. A cambiare le cose arrivò cinque anni dopo proprio Meir Dagan.
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