L’attacco a Monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia per la Vita, da parte di cinque membri della stessa, va a mio modo di vedere, ben al di là di una querelle teologico-ecclesiastica e merita una lettura attenta per i significati profondi che riveste. Le tesi sono note in occasione della scomunica comminata da Monsignor Cardoso Sobrinho, vescovo di Recife, ai medici e alla mamma della bambina, madre brasiliana di undici anni. Monsignor Fisichella aveva sottolineato che si sarebbe dovuto esprimere, prima di pensare alla scomunica, quell'«umanità di cui gli uomini di Chiesa dovrebbero essere esperti annunciatori e maestri, ma così non è stato». Si contrappone quindi, nell'irrinunciabile difesa della Vita una concezione che privilegia la Vita come concetto astratto e teoria e la sua espressione concreta, incarnata, sensibile, specifica, in altre parole umana, anzi, come direbbe Dostoevskij, divino-umana. In altre parole un po' come nel dibattito sull'eutanasia.
Da una parte vi sono coloro che in campo laicista e scientista sostengono l'astratta idea di una qualità della vita computabile a punti, nel merito di essere o no vissuta. Anime belle, con l'idolo della Ragione filantropica, che sono pronte a somministrare un'iniezione letale nel nome della solidarietà a un dolore, in verità, che nessuno può calcolare, ma che può solo essere condiviso, accolto, aiutato. Dall'altra invece la giusta posizione di chi, come Marcello Veneziani, sul Giornale di ieri, ma soprattutto come il Santo Padre o lo stesso Monsignor Fisichella, non cessa di difendere la vita come un mistero mai completamente afferrabile dalla ragione e dai progetti umani. Paradossalmente in questo caso, il dogmatismo razionalistico e nominalistico affligge gli scomunicatori di Recife e i critici e ipercritici dell'Accademia per la Vita. Volendo infliggere a una bambina di undici anni, a rischio di morte o di suicidio, in una gravidanza per incesto, un peso intollerabile sembrano perdere di vista non soltanto la misericordia, ma anche quella centralità incarnata della Verità, nodo essenziale di una Buona Notizia evangelica, in cui la festa del sabato è fatta per l'uomo e non l'uomo per il sabato. E si badi bene non è soltanto una considerazione di umanità che faceva difendere dai Farisei i discepoli di Gesù, che raccoglievano, per nutrirsi, spighe di grano nel giorno del Signore. Facendo come Gesù spiegò, esattamente come re Davide e i suoi, quando si nutrirono con le offerte del tempio.
Non c'è solo fariseismo nei critici di Monsignor Fisichella, semmai qualcosa, se possibile, di ancora più grave, come negare nel nome di un’idea astratta il concreto discernimento che è dovuto ai medici sulla scelta di una vita da salvare. Le cripte regali, da quella Asburgica dei Cappuccini di Vienna in là, sono piene di giovani regine e principesse morte di parto. Vi siete mai chiesti perché? Nel diritto salico delle dinastie europee, la nascita di un figlio maschio per garantire la dinastia era più importante di qualsiasi vita o salute della madre. E quanti squartamenti hanno scelto sempre di salvare il bambino rispetto alla madre. È una logica tragica che grandi sante anche recenti, come Gianna Beretta Molla, hanno celebrato accettando di morire pur di salvare il proprio bambino, ma tutto ciò non può essere imposto né alla donna né ai medici con un editto. Significherebbe rinunciare a quell'ombra amorevole di Mistero basato sulla relazione e sull'incontro che sta nel cuore della più profonda identità cristiana. È un po’ come nel caso del diaframma sottile che divide l'accanimento terapeutico dalle cure palliative e che nessuna legge, ma neanche nessuna accademia scientifica o teologica, potrà codificare e normare dogmaticamente fino all'ultimo dettaglio del singolo prezioso e irripetibile caso. Ed è proprio nei dettagli e nelle sfumature sottili che si annida il Mistero di Dio e dell'Amore. Dimensione alla quale Monsignor Fisichella sembra essere molto più attento e sensibile dei suoi corrucciati e schematici detrattori.
Scriveva Teilhard de Chardin, grande gesuita, scienziato e mistico che, tra la mano del mietitore che raccoglie la spiga di grano e quella del sacerdote che consacra l'ostia, c'è una continuità che si ricapitola in Cristo, orizzonte di tutte le cose. È un pensiero profondamente paolino. E in questa creazione che geme nelle doglie del parto occorre che la medicina e la teologia si incontrino più che in astratte prescrizioni dell'etica e della morale, in una sottile e delicata educazione e formazione all'Agape, Mistero d'amore negli abissi tra la vita e la morte.
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