Abramo Lincoln e quella schiavitù Usa e getta

Il libro revisionista «Dalla parte di Lee» di Alberto Pasolini Zanelli

Ho preso in mano questo libro di Alberto Pasolini Zanelli (Dalla parte di Lee, Leonardo Facco editore) con un interesse preventivo dettato da due motivi. Il primo è che Pasolini Zanelli, a mio avviso il miglior corrispondente italiano dagli Stati Uniti, non delude mai. È possibile dissentire da alcune sue tesi, non è possibile sottrarsi al fascino d’una esposizione lucida, pungente, poggiata su fondamenti culturali di grande solidità. Il secondo motivo è che della guerra di secessione americana non mi sono mai occupato con impegno, e che le mie convinzioni in proposito ricalcavano in generale la vulgata politicamente corretta: il cui pilastro stava nell’assegnare all’Unione di Lincoln - perché antischiavista, perché progressista, perché moderna - un ruolo positivo, e alla Confederazione del Sud, pur con i suoi eroismi caparbi, disperati, a volte sublimi, un ruolo negativo. Il futuro contro il passato.
Ero certo che Pasolini Zanelli, nella sua agile sintesi (duecento pagine) di quell’evento decisivo per le sorti del mondo, mi avrebbe offerto spunti di meditazione e occasioni per correggere qualche mia idea. Così è accaduto, puntualmente. Il volume ha un protagonista cui va l’ammirazione dell’autore: il generale sudista Robert Edward Lee, ufficiale e gentiluomo, nonché condottiero di straordinaria capacità e fantasia. Come sempre nei saggi di Pasolini Zanelli, anche in questo serpeggiano la negazione dei luoghi comuni e, se vogliamo usare un termine in voga, il revisionismo. Egli sminuisce, ad esempio, lo stretto legame tra la guerra di secessione e la battaglia per l’abolizione della schiavitù.
La stella polare di Lincoln era il protezionismo industriale, indispensabile per il Nord (il Sud importava dall’Europa gran parte dei manufatti, pagandoli con le esportazioni di cotone, e dunque prosperava sul libero scambio). Lincoln «non era mai stato un abolizionista e aveva sempre promesso di rispettare i diritti degli Stati che intendevano preservare quella peculiare istituzione». Disse infatti: «Non ho il diritto legale di abolire la schiavitù negli Stati un cui esiste, né ho il desiderio di farlo». E poi: «Se per preservare l’Unione occorre mantenere la schiavitù lo farò, se occorrerà abolirla la abolirò». Si combatteva per «l’integrità della nazione», non per emancipare gli schiavi.
Solo le vicende politiche e militari relegarono in secondo piano, a un certo punto della «inutile strage», i moventi sociali ed economici che l’avevano provocata, e portarono alla ribalta - come linea divisoria tra i due schieramenti - il problema della schiavitù. Così si arrivò il 22 settembre 1862 all’Atto di emancipazione che il presidente annunciò ai membri del Congresso, convocati alla Casa Bianca, e che così recitava: «Dal primo giorno di gennaio dell’Anno del Signore 1863 tutte le persone tenute in schiavitù in ogni Stato o parte di Stato in ribellione contro gli Stati Uniti saranno per sempre libere». Va rilevato che la proclamazione non includeva gli schiavi che vivessero negli stati non secessionisti. Il londinese Spectator osservò: «Il principio di mr Lincoln non è che un essere umano non ha diritto di possederne un altro: è che perde questo diritto se non è fedele all’Unione».
Nella visuale di Pasolini Zanelli la solenne dichiarazione di Lincoln perde gran parte della sua nobiltà: ma l’autore aggiunge subito che l’Atto di emancipazione «forniva alla guerra la motivazione morale di cui gli americani hanno sempre bisogno per accettare di combattere». Ne hanno avuto bisogno anche per le due guerre mondiali e per le successive guerre locali. Quando la motivazione è mancata o è apparsa insufficiente - vedi il Vietnam, vedi anche l’Irak - la Casa Bianca s’è trovata in difficoltà.
La guerra di secessione fu sanguinosa, spietata, e per alcuni aspetti - e in alcuni suoi momenti - anche barbara. Caddero sul campo 365mila giubbe blu dell’Unione e 316mila giubbe grigie della Confederazione sudista. Mezzo milione i mutilati e gli invalidi, immani le distruzioni (vi furono città letteralmente rase al suolo, con deliberata ferocia). L’intero Sud fu «paralizzato in un vuoto di macerie, desolazione e fame». I tre quarti del suo patrimonio si erano dissolti. Dovettero passare molti decenni prima che rifiorisse. «Gli uomini che camminarono sulla luna erano partiti da Cape Canaveral in Florida, su astronavi concepite a Huntsville in Alabama, guidate dal centro spaziale di Houston in Texas». Gli Stati che furono della Confederazione sudista sono ormai al centro politico dell’America ma, osserva Pasolini Zanelli, «ci sono pervenuti dopo aver assorbito i valori dei vincitori e soprattutto la loro idea dell’America: cosmopolita, democratica, imperiale».


Un po’ nostalgico di quel Sud cavalleresco, Pasolini Zanelli, ma attento a vedere e interpretare i flussi della storia. Un bel testo. Peccato che vi manchi il corredo di carte geografiche - nel vortice di battaglie, fiumi, luoghi, città perse e conquistate diventa difficile orientarsi - e un indice dei nomi.

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