
Non ha mai scaldato i cuori del grande pubblico. Ma se la battaglia per il controllo delle Generali, pur a fasi alterne, dura da 80 anni, un buon motivo ci sarà. Ed è un motivo che riguarda tutti gli italiani perché Assicurazioni Generali è la più importante istituzione finanziaria nazionale, storicamente la prima e unica di forza e respiro internazionale. Le grandi banche, come Intesa Sanpaolo, anch’esse strategiche per il Paese, sono comunque arrivate dopo e in ogni caso, a differenza di una compagnia assicurativa, devono la loro forza ai depositi dei risparmiatori, cioè a dei conti a “vista”, sempre aperti e, in teoria, liquidabili in ogni istante. Mentre i risparmi degli assicurati vantano una stabilità maggiore: non esistono gli sportelli dove ogni mattina si possono andare a estinguere le proprie polizze vita.
Ecco perché gli oltre 600 miliardi di asset delle Generali (di cui 35 di titoli di Stato) sono un patrimonio nazionale dalla cui stabilità dipende anche la sicurezza nazionale. Controllarne la gestione significa giocare ogni partita economico-finanziaria avendo tra le proprie carte anche un jolly.
L’ultima battaglia è di questi mesi: da una parte Mediobanca, che in Generali comanda da sempre, cioè dal 1946 quando il suo fondatore, Enrico Cuccia, aveva capito dove stava il cuore del sistema. Dall’altra quelli che oggi sono i maggiori azionisti privati sia di Generali, sia di Mediobanca: le famiglie Del Vecchio (Delfin) e Caltagirone, che a Mediobanca contestano di non aver mai volto condividere con loro le strategie sulla compagnia. Ma i due grandi azionisti privati, pur avendo rispettivamente il 9,9 e il 6,8%, non sono riusciti a vincere nell’assemblea dei soci del 24 aprile, dove Mediobanca (che ha il 13%) ha attirato dalla sua i voti della maggioranza del resto dei soci. Sul piatto c’era la nomina dei vertici della compagnia per i prossimi tre anni. La lista di Mediobanca ha vinto con il 52% dei voti espressi in assemblea, grazie soprattutto agli investitori istituzionali, cioè ai fondi che hanno in portafoglio le azioni Generali, e ha confermato il francese Philippe Donnet al vertice fino al 2028. La lista di Caltagirone ha raccolto il 36,8% (il resto è andato ad Assogestioni e astenuti). Ma per Mediobanca potrebbe essere la più classica delle vittorie di Pirro.
Alla conquista delle Generali, infatti, Caltagirone e De Vecchio vogliono arrivare da un’altra strada: a giugno-luglio è attesa la partenza dell’offerta che il Monte dei Paschi ha lanciato su Mediobanca. Vediamo i numeri: in Mps sia Caltagirone, sia Del Vecchio hanno il 9,8% del capitale, quasi il 20% in due. Mentre l’11,7% è del governo. E questi sono i soggetti principali che hanno dato l’ok al lancio dell’operazione. Ma attenzione: sempre gli stessi due grandi soci privati hanno un peso enorme anche nel capitale della preda, cioè in Mediobanca: 19,8% per Delfin, 7,6% per Caltagirone, insieme quasi 27%. La scommessa è dunque questa: arrivare al controllo di Mediobanca tramite Mps, cambiare il consiglio d’amministrazione e da quella posizione arrivare a cambiare anche quello delle Generali. Su tempi e modi è prematuro esporsi, ma che la strada sia questa è evidente a tutti.
Tutto dipenderà quindi dall’esito dell’offerta di Mps, atteso quest’estate: se il 50% + 1 azione di Mediobanca finirà nella pancia del Monte dei Paschi, a comandare la partita saranno i grandi soci della banca senese.
E, dopo 80 anni, le Assicurazioni Generali usciranno dal raggio d’azione della vecchia Mediobanca, governata sostanzialmente dai suoi manager, per entrare in quello di una grande banca italiana, Mps, che ha come punto riferimento un gruppo di grandi azionisti privati italiani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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