Abu Omar, i pm di Brescia cercano la talpa milanese

Dopo gli esposti di Cossiga e del funzionario Sismi di Trieste, Pillinini, la procura indaga sulla fuga di notizie. Il blitz nella sede di «Repubblica»

Stefano Zurlo

nostro inviato a Brescia

Due esposti sul caso Abu Omar. Due cerchi concentrici intorno alla procura di Milano. Il primo è stato presentato a Brescia una settimana fa da Francesco Cossiga per chiarire i limiti del segreto di Stato, materia scivolosissima e per capire se i pm di Milano, titolari dell’indagine sul rapimento da parte della Cia dell’ex imam di Milano, abbiano in qualche modo deragliato violando la legge. Il secondo, depositato sempre a Brescia, è firmato dal capocentro Sismi di Trieste Lorenzo Pillinini, sospettato di aver aiutato gli agenti della Cia e provoca un trambusto nel mondo dell’informazione. La Procura di Brescia interroga un cronista del Piccolo di Trieste, Claudio Ernè e questi fa candidamente il nome di una collega di Repubblica, Cristina Zagaria. Sarebbe stata lei a dargli un verbale secretato che mai avrebbe dovuto uscire dal perimetro degli uffici giudiziari. Gli investigatori bresciani piombano venerdì mattina nelle redazione milanese di Repubblica e perquisiscono per undici ore la scrivania e il computer della giornalista. Sorpresa: si trova un secondo documento segreto e si scopre anche che è stato spedito via posta elettronica da Carlo Bonini, inviato di punta di Repubblica che per primo ha svelato l’intrigo Abu Omar. Il suo computer, a Roma, viene sigillato nella notte fra venerdì e sabato, ma non verrà aperto fino a fine mese quando Bonini, che a differenza dei due colleghi non è indagato, rientrerà in Italia. Il comitato di redazione di Repubblica protesta, il Procuratore di Brescia Giancarlo Tarquini convoca immediatamente una conferenza stampa per circoscrivere l’incendio: «Nessun attentato alla libertà di stampa, si è trattato di perquisizioni personali, di atti chirurgicamente mirati». Una spiegazione che non spiega, secondo il cdr di Repubblica che controreplica: «Esprimiamo grande stupore e sconcerto per le parole di Tarquini».
In realtà l’indagine bresciana sembra riaprire vecchie ferite. Per legge è Brescia a dover scavare sulle mancanze della magistratura milanese e dal 1992, dai tempi di Di Pietro, è capitato di tutto. Esposti, controinchieste, veleni. Succederà la stessa cosa anche questa volta? Tarquini aggira la domanda, ma lascia intendere che altri nomi, oltre a quelli di Claudio Ernè e Cristina Zagaria, sono già stati iscritti nel registro degli indagati. E la lista potrebbe allungarsi nei prossimi giorni. Chi è nel mirino di Tarquini?
Certo, il dossier di Pillinini si somma a quello del presidente emerito Cossiga. Per Cossiga, Ferdinando Pomarici e Armando Spataro sono penetrati nel sancta sanctorum del segreto di Stato. Del resto, il capo del Sismi Nicolò Pollari ha opposto proprio il segreto di Stato alle domande dei pm milanesi. I pm ribattono però di aver raggiunto sul campo investigativo le prove dei reati commessi, dunque di non essere entrati come profanatori dove era proibito.

Tarquini, misuratissimo, spiega che studierà l’argomento dal punto di vista del diritto, ma poi annuncia: «Procederemo attraverso la ricostruzione dei fatti». Insomma, è facile prevedere che i protagonisti di questa storia verranno sentiti uno a uno a Brescia. Fra vecchie ruggini e nuovi sospetti.

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