da Roma
Sarà la volta buona? Il solito Economist lo mette in dubbio, titolando: «Ma Tripoli è in grado di bloccare i flussi?». Silvio Berlusconi invece ci crede e vola oggi a Bengasi per un decisivo faccia a faccia col capo di Stato libico. Parte sereno: non solo perché riesce a chiudere entro agosto - come annunciato - il faticoso «protocollo di amicizia» con Gheddafi e «voltare la pagina del passato» coloniale, ma perché ritiene di avere preso impegni importanti - tra cui la costruzione a nostre spese di una autostrada costiera, dal confine egiziano a quello tunisino - cui si aspetta che sulla riva sud del Mediterraneo si risponda con altrettanto impegno. E infatti lo stop ai viaggi delle navi-carretta in direzione di Lampedusa e della Sicilia è il prezzo che si chiede di pagare in cambio della fine dell’intero contenzioso italo-libico, in pratica mai risolto dalla salita al potere del colonnello. Con l’accordo che sarà siglato oggi, spiega Berlusconi in un’intervista al giornale libico Oya, l’Italia «si impegnerà a finanziare progetti e infrastrutture in diversi settori» con investimenti che «supereranno diversi miliardi di dollari».
Intese in realtà si sostenne di averle trovate dal ’70 in poi, a più riprese. Buone intenzioni e niente più. Mai trovati accordi per il risarcimento delle aziende italiane nazionalizzate. Ancora nel 2005, sebbene l’Italia avesse lavorato molto per far togliere l’embargo a Tripoli in sede Onu, le autorità libiche avevano all’improvviso sospeso la concessione dei visti ai profughi italiani. Anche recentemente Dini firmò accordi; lo stesso fece Amato l’anno scorso. E D’Alema, poco prima della caduta del governo Prodi, ad ottobre, sostenne che si era ormai pronti alla stipula dell’accordo.
Sarà la volta buona, allora? A palazzo Chigi, dove delegazioni tecniche e diplomatiche hanno lavorato fino a ieri alla stesura di minuziosi particolari, assicurano che è così. Ci sono alcuni dettagli da mettere a punto, ma si tratterebbe di poca cosa. I problemi maggiori (leggi finanziamento per la costruzione dell’autostrada) sono stati messi già nero su bianco. Come l’operazione-sminamento nelle zone che furono teatro degli scontri tra italiani e tedeschi da un lato, inglesi dall’altro durante il secondo conflitto mondiale.
«Uno sforzo lo facciamo - ha fatto sapere ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa - ma è chiaro che dev’essere commisurato ad un sicuro ritorno». Ritorno che, come ebbero a dire giusto qualche giorno fa tanto Umberto Bossi che il ministro degli Interni Roberto Maroni, deve prevedere un «efficace» controllo dei libici sulle partenze dalla loro costa. Tripoli aveva già offerto il suo «sì» alle richieste italiane (e della Ue), ma fin qui non si era agitata più di tanto. Reclamavano i libici un sistema satellitare per il controllo della loro frontiera sud e delle loro coste. E in più avevano chiesto già ad Amato di esser dotati di almeno 3 guardacoste e di 3 vedette per controllare le loro acque territoriali. L’ex titolare del Viminale aveva concordato nei particolari quest’ultima richiesta libica, stabilendo che a bordo ci sarebbero stati equipaggi misti, ma poi - nel continuo sobbalzare dei rapporti tra Roma e Tripoli - si era accantonata la questione.
Oggi, a meno di clamorosi imprevisti, la stipula dell’accordo che chiede ai libici di bloccare l’esodo biblico verso le nostre coste e impegna Roma a soddisfare le richieste di risarcimento di Tripoli per l’occupazione italiana dal 1911 al 1943. Autostrada, e si parla di non pochi milioni di euro, ma non solo. Si parla di costruzione di immobili, di qualche infrastruttura. Mentre non è previsto un allargamento del discorso tra Berlusconi e Gheddafi alle forniture energetiche, visto che l’Eni ha da poco stipulato intese con la Noc (compagnia di stato libica) per la fornitura di petrolio fino al 2042 (un terzo di quello che ci occorre) e fino al 2047 per il gas.
Di gasdotti - e più precisamente di quelli che passano per la Georgia per sboccare sulla costa turca - è probabile che invece Berlusconi possa far cenno nell’incontro che potrebbe avere col vice-premier russo Sergei Ivanov, anche lui in Libia. Il premier ha avuto ieri una lunga telefonata con Putin, dopo che l’altro giorno aveva discusso della crisi del Caucaso con la Merkel. Berlusconi, che in serata avrebbe chiuso il suo giro d’orizzonte telefonico con Sarkozy, non nasconde la sua preoccupazione per lo stato delle cose e avrebbe nuovamente offerto a Mosca la sede di Roma per una conferenza di pace.
Lunedì, a Bruxelles, si parlerà infatti di come l’Unione debba comportarsi rispetto al riconoscimento dell’indipendenza di Ossezia ed Abkhazia da parte di Mosca. E non pochi, specie i paesi dell’est costretti per anni a fare i satelliti dell’Urss, chiedono misure molto incisive. Come le sanzioni o il divieto per i russi di acquisizioni economiche nei paesi dell’Unione.
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