La Casa delle libertà è morta? Probabilmente sì, almeno quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Che dopo la fallita spallata al governo Prodi sarebbero emersi i malumori a lungo covati nell’opposizione, era facile prevederlo. Ma che le divisioni esplodessero in maniera così deflagrante come è accaduto ieri era meno immaginabile. Ad Assisi, dove era riunito parte dello stato maggiore di An, sono stato testimone di come anche alcuni degli esponenti che un tempo dentro An venivano chiamati berluscones, abbiano partecipato al processo al Cavaliere mentre l’imputato era contumace. Il clima lo si respirava già sabato, ma ieri a dare il fuoco alle polveri è stata l’intervista di Gianfranco Fini, in cui il leader di An dava un ultimatum a Berlusconi: o entro gennaio si cambia strategia o ognuno andrà per la propria strada.
È bastato questo perché alcuni dirigenti di An cominciassero a mettere in dubbio la leadership del capo della Cdl, mentre altri lo criticavano apertamente per l’appoggio dato al nuovo movimento di Storace. La difesa abbozzata da Fabrizio Cicchitto è stata accolta da fischi, mentre le critiche alle incertezze con cui in questi mesi è proceduto il processo unitario del centrodestra mosse da un esponente azzurro come Ferdinando Adornato - siccome dirette contro Silvio Berlusconi - hanno ottenuto una salva di applausi. Non so se la riunione di Assisi sia sfuggita di mano ai suoi organizzatori, so solo che alla fine è apparso evidente che qualcosa si è rotto. A nulla sono serviti i tentativi di spegnere l’incendio fatti successivamente da Ignazio La Russa, che ha provato a dire che forse era sbagliato chiedere a Forza Italia una inversione di rotta proprio mentre era in corso una manifestazione degli azzurri che sollecitava le dimissioni del governo.
Ormai la frittata era fatta e il nervosismo dello stesso La Russa tradiva la sensazione di una rottura che non si era voluta ma che era arrivata inaspettata. Sta di fatto che Silvio Berlusconi, come sapete, ha replicato e non esattamente come certi dirigenti presenti ad Assisi si aspettavano. Se l’obiettivo di An era di indurre il capo del Polo a miti consigli o di ridurne la leadership, temo che questo obiettivo sia fallito. Il Cav ha reagito a modo suo, cioè andando all’attacco. Ciò che gli alleati non hanno messo in conto è che Silvio Berlusconi ha sì perso la battaglia per mandare a casa Prodi con la Finanziaria, ma non ha perso la guerra. Il suo potenziale non è intaccato e se An e Udc premono per trattare col centrosinistra sul terreno delle riforme, egli può scavalcarli dialogando con Walter Veltroni per accordarsi sulla legge elettorale, dimostrando che le regole le scrivono i partiti più forti.
Se fino a ieri Berlusconi ha detto di no a un’alternativa che non fosse quella delle dimissioni di Prodi, di fronte allo scollarsi della opposizione e degli alleati può battere una nuova via. Ciò che gli alleati non hanno considerato è che la nascita del Pd non ha portato solo al partito unitario del centrosinistra, ma anche possibilità che il Pd alle prossime elezioni corra da solo, così da ridurre ambizioni e voti della sinistra massimalista e dei partitini di centrosinistra. E alla corsa solitaria di Veltroni potrebbe fare da contraltare una uguale decisione da parte di Berlusconi. La tentazione di andare al voto da solo, senza An e Udc, c’è ed è forte ed è per questo che ieri il Cav ha annunciato la nascita del nuovo Partito del popolo italiano della libertà. Che cos’è se non un partito che vuol fare a meno degli alleati? Ieri Berlusconi è stato chiaro. Chi ci sta ci sta e arrivederci agli altri. E per gli altri intende An e Udc. È a loro che il Cav imputa la sconfitta non della fallita spallata, ma delle elezioni del 2006. Una sorta di peccato originale. Sono loro i compagni di strada titubanti che non credettero alla possibilità di battere Prodi e oggi, a distanza di un anno e mezzo, quella frattura mai chiarita riemerge. Era da tempo che il Cav mostrava insofferenza verso gli alleati. Da mesi pensava che così com’è la Cdl non può andare lontano e che fosse superata.
Maurizio Belpietro
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