Lo avevano soprannominato «Il regista del male», anche se lui, nella sua vita di artista, aveva fatto tutto per bene. Ieri, a Los Angeles, a 87 anni, è morto William Friedkin che i più associano subito al suo film cult, L'esorcista, per il quale, come si suol dire, basta la parola. Non a caso, venne presentato come «il film più terrificante di tutti i tempi» e, certamente, da quel 1973 a seguire, niente è stato più come prima, punto di riferimento, anche culturale, non solo per quel particolare genere cinematografico, ma per la settima arte in toto. Il suo modo di fare regia era certamente poco ortodosso. Per dire, proprio ne L'esorcista, (che vinse due Oscar, per sceneggiatura non originale e per il sonoro) Friedkin arrivò a schiaffeggiare William O'Malley pur di ottenere l'espressione desiderata dal regista. E anche Linda Blair veniva legata e strattonata in modo violento, con tanto di problemi postumi alla schiena.
Eppure, Friedkin è stato molto di più del regista de L'esorcista. A partire da Il braccio violento della legge, datato 1971, che ha innovato il poliziesco e che gli valse, nel '72, ben cinque Oscar, tra i quali anche quello per la miglior regia e per il miglior film.
E pensare che, prima di allora, non è che le cose gli girassero per il meglio. Nato da una famiglia di origini ebraiche, emigrata in Ucraina, Friedkin ha vissuto una infanzia difficile, anche economicamente, costretto a sbarcare il lunario con una serie di lavoretti mal pagati. Una situazione che si è sempre portato dentro, al punto da vederlo raramente identificato, nelle sue opere, con il classico spirito americano positivo, prediligendo il racconto del male.
La svolta arriva nel 1959 quando si ritrova a salire la scala artistica. Entrato come fattorino nella stazione televisiva di Chicago WGN finisce, nel giro di pochi anni, a curare ore di regie televisive. Intanto, si fa notare per un documentario, The People Vs. Paul Crump (1962), che mise in discussione la sentenza su un uomo di colore condannato a morte. Attratto dal neorealismo, Friedkin fa fatica a convivere con un mondo della settima arte che bada al sodo, pragmatico, dove il lato artistico era l'ultimo dei problemi. Molto si ripercuote nel suo esordio, Good Times, un musicarello che incassa poco. Eppure, la sua fama cresce, grazie anche a Festa di compleanno, tratto da Pinter, con una suspense che ricorda il maestro Hitchcock.
La sua perenne insoddisfazione di cui sopra verso quella che poteva essere considerata la normalità è anche alla base della sua appartenenza al movimento della Nuova Hollywood. Con registi che, finalmente, prendevano in mano il totale controllo creativo del film e con attori che finivano per rispecchiare l'ideale dell'uomo qualunque. Non si può certo prescindere da questo per giudicare il successo dei suoi due film, premi Oscar.
Eppure, questa eccessiva libertà ha finito per pagarla. Basti guardare a Il salario della paura, remake di Vite Vendute, sorta di ossessione per Friedkin che andò a girarlo nella Repubblica Dominicana (Mastroianni e McQueen declinarono l'invito a recitare nel film), costringendo la produzione a spendere tre milioni di dollari per costruire il set di una scena della durata di 10 minuti. Un insuccesso commerciale cui seguì, nel 1980, Cruising, film sul mondo omosessuale, interpretato da Al Pacino. Che fece insorgere le associazioni gay, con tanto di marcia di protesta, trombe e fischi per boicottare le riprese, al punto da costringere, in post produzione, a ridoppiare il film. L'ultima sua opera, come se fosse un cerchio che si chiude, è stato un documentario che parlava di esorcismi. Si tratta di The Devil and Father Amorth (2017) nel quale Friedkin seguiva padre Gabriele Amorth mentre eseguiva il suo nono esorcismo. Prima di questo, Killer Joe, andato, nel 2011, in concorso a Venezia.
Friedkin non ha mai avuto un buon rapporto con la critica. Lo hanno tacciato di essere fascista, misogino, razzista, perché quando si prova a fare di testa propria, il prezzo da pagare è questo. Almeno, le sue opere sono state, anche se solo in seguito, rivalutate.
Nel 2013, alla 70ma Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, gli venne attribuito il Leone d'oro alla carriera. Nella sua vita ha avuto quattro mogli. La prima è stata Jeanne Moreau, con la quale rimase sposato due anni. L'ultima è stata la produttrice Sherry Lansing che ne ha annunciato la scomparsa.
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