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Adesso Fidel Castro fa l’amico degli ebrei

di R.A. Segre

Cosa è successo a Fidel Castro? Il 3 luglio affermava che non si doveva accusare l'Iran senza prove e due giorni dopo che «dallo scontro fra USA e Israele con l'Iran scoppierà una catastrofe nucleare». L'8 settembre, in una intervista con gli inviati di Atlantic Magazine, da lui stesso invitati a Cuba, dichiarava che «Se fossi Netanyahu e riflettessi sui problemi che Israele deve affrontare mi ricorderei dei 6 milioni di ebrei di ogni età sterminati». Nella stessa intervista criticava l'antisemitismo di Ahmadinajad, ricordando che non c'è nulla che possa essere paragonato alla Shoa e che la crisi dei missili con l'America non era stata necessaria e che il modello comunista cubano non funzionava più.
Non c'era bisogno di più perché Netanyahu, che aveva sostenuto che all'Iran dovessero applicarsi le sanzioni "cubane", lo ringraziasse il 25 settembre per aver criticato l'Iran e Shimon Peres, presidente di Israele dicesse che «le parole di Castro mi hanno commosso profondamente» e le considerasse come «un ponte gettato fra dure realtà e nuovi orizzonti».
Le realtà per entrambi i Paesi sono note. Cuba ha rotto i rapporti diplomatici con Israele nel 1973. Ha allenato sul suo suolo alcuni dei più feroci terroristi palestinesi, inviato una brigata sul Golan a combattere contro Israele accanto ai siriani. Vietato la vendita del Diario di Anna Frank e di Elie Wiesel, incassando però nel 1990 150 dollari per permesso di emigrazione di un ebreo cubano, in una operazione pseudosegreta chiamata "Sigaro". Era considerato uno dei peggiori avversari di Gerusalemme in America Latina. Il crollo dell'economia cubana con la fine del sostegno sovietico, un isolamento minaccioso per l'esistenza stessa del regime che a quanto pare il fratello di Fidel non sembrava capace di controllare pare aver contribuito a convincere Fidel a lanciare, come dice Peres, «ponti verso nuovi orizzonti».
Una svolta "inattesa" nei confronti di Israele col triplice vantaggio di costare poco, utilizzare una grande cassa di risonanza e lanciare un messaggio di pace attraverso Israele all'America, prendendo una posizione positiva nel conflitto mediorientale. Un conflitto - lo si è visto anche nelle ultime ore - che a causa del suo simbolismo ideologico è quasi universale.
Israele in materia di «dure realtà» da affrontare non è da meno di Cuba. La inattesa presa di posizione di Castro contro l'Iran e la comprensione per le «riflessioni sull'Olocausto» di Netanyahu, i favorevoli commenti fatti al contributo di storico al padre del Premier (noto per le sue inflessibili posizioni sul diritti ebraici in Palestina) hanno un significato superiore a quello politico. Provengono da un avversario che continua ad essere una ispirazione ideologica per un mondo sud americano dove un gesto a favore di Israele significa indirettamente un'apertura verso l'America.
Per il quotidiano Haaretz, critico nei confronti di Netanyahu, si tratta di un flirt che «puzza di disperazione». In un conflitto simbolico come quello palestinese non deve essere sottovalutato.

Le dichiarazioni del "Lìder Maximo" potrebbero essere il segno di un inizio di sdoganamento di un anti israelianismo e di anti semitismo su cui le varie correnti di progressismo, anti colonialismo, anti americanismo hanno sino ad oggi fondato la loro politica.

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