Caro Direttore, quando sei venuto a propormi questo commento ho capito subito che non cercavi proprio me, ma uno abbastanza anziano. «Uno che le ha già viste tutte», si dice solitamente in riunione di redazione. «Una memoria storica», si dice più elegantemente ai funerali di quello che le aveva viste tutte. E siccome di anziani in via Negri 4 siamo rimasti davvero pochi, hai spiattellato sul mio tavolo gli articoli dei bravi Massimo Malpica, Paolo Bracalini e Carmine Spadafora, che hanno scoperto l’ennesimo pentolone maleodorante di Napoli e della Campania. E ti sei piacevolmente stupito nell’accorgerti che questi scandali ancora mi stupiscono. Già, perché uno le avrà viste tutte, ma rivederle fa ancora più effetto. Si fatica a pensare che, dopo tutto quanto è accaduto, ci sia qualcun altro pronto a ripetere gli stessi errori.
Era il 1995, l’anno di «Affittopoli». E nelle stanze del Giornale impazzivamo a spulciare i faldoni con l’elenco di tutte gli stabili di proprietà del Comune di Milano o di altri enti pubblici: la via, i metri quadrati dell’appartamento, il canone mensile quasi sempre «speciale» e, infine, nome e cognome del «fortunato» affittuario. Lavoravamo come muli, ma eravamo orgogliosi. Per noi, fu un grande «scoop». Per chi pagava poche migliaia di lire per duecento metri quadrati in centro fu un grande... sputtanamento. Per gli amministratori pubblici di quelle proprietà fu la fine di una carriera politica.
Negli anni successivi lo scandalo esplose in altri importanti Comuni italiani: il Giornale sempre in prima linea. Poi, anche per noi, giocare a «guardia e ladri» con gli affitti a prezzo di favore, diventò difficile. E non perché gli altri s’erano fatti furbi... s’erano fatti perbene. Troppo pericoloso cedere al solito amico degli amici un appartamento a un prezzo imbarazzante. Troppi rischi per chi gestisce gli immobili pubblici e per chi li vorrebbe abitare quasi gratis.
Non a Napoli, dobbiamo tristemente constatare. Ma sarebbe fin troppo facile ora dire: beh, però è la Campania, là si sa... come vanno le cose... E, in effetti, solo negli ultimi mesi sono scoppiati così tanti scandali da riempire nuovamente tutti i sacchi di ’munnezza che asfissiavano Napoli. Antonio Bassolino e Rosa Iervolino sembrano due tappi di sughero alla deriva e non si capisce come riescano ancora a galleggiare in un mare agitato dalle polemiche politiche e maleodorante per le inchieste giudiziarie. In fondo, una nuova «Affittopoli» non poteva che scoppiare sotto al Vesuvio, viene da pensare. Dove altro, sennò?
Ma non perché i napoletani siano meno onesti dei piemontesi o dei pugliesi. In Veneto o in Lombardia, a essere sinceri, chi rinuncerebbe a un vero «affare», se gli venisse offerto? Un bell’appartamento, lussuoso e grande, a pochi euro al mese: alzi la mano chi si porrebbe il problema, accettando, di creare un danno alla comunità e alla cosa pubblica? Fare i furbi è una delle arti più antiche in questo Paese. E in un modo o nell’altro ci proviamo in tanti, tutti i giorni.
Se non riusciamo a fare i furbi, è perché esiste la politica che gestisce e controlla i beni dello Stato. Un’amministrazione pubblica sana e incorruttibile, non permette al cittadino di «cadere in tentazione», perché governa impedendo che si crei la «tentazione», e soprattutto che il Paese possa subire dei danni (in questo caso economici) e che un cittadino possa godere di privilegi rispetto a un altro. Certo, la perfezione non esiste. Il «male» non ha latitudine, il reato si commette al Nord e al Sud, indistintamente.
Ma che la Campania e Napoli, per colpa di chi le gestisce e governa senza vergogna e senza nemmeno il timore di venire scoperto, sia terra di «tentazioni» è cronaca di tutti i giorni.
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