Roma - Il primo inciampo di Matteo Renzi porta il marchio della città dove lavora da quando è diventato premier, ma che non sembra amare alla follia, visto che appena può torna nella sua Firenze. C'è da pensare che il sentimento sarà reciproco visto che il governo appena insediato non se l'è sentita di mettere la fiducia sul «Salva Roma» e così ha messo in imbarazzo il sindaco della Capitale Ignazio Marino, e fatto traballare l'amministrazione che vive da tempo con i conti in rosso e la sicurezza che prima o poi arriva una «pezza» a spese dei contribuenti. Le opposizioni, in particolare Lega e M5S, non hanno ritirato gli emendamenti rendendo quindi impossibile la conversione che sarebbe dovuta avvenire entro domani. All'esecutivo non è rimasto che rinunciare al decreto. La seconda visto che una precedente versione del Salva Roma era già stata ritirata dal governo Letta, mentre era in corso la conversione. Effetto concreto: un potenziale buco nei conti della Capitale da 485 milioni. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, ha subito assicurato che l'esecutivo emanerà un nuovo provvedimento, con le disposizioni necessarie per scongiurare il rischio default. Un nuovo dl con «le norme ritenute indispensabili e di primaria importanza», non solo quelle per Roma. Soluzione che dovrà arrivare, anche perché il sindaco Marino ieri ha fatto pensare a un passo indietro: «Non sto minacciando dimissioni - ha poi assicurato - ma voglio sapere qual è la mia job description. Non sono pronto per fare il commissario liquidatore».
Soddisfatta la Lega: «Gli italiani risparmiano un miliardo, che sarebbe finito a tappare il buco della città più indebitata del mondo», esulta il segretario Matteo Salvini. Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, ha sottolineato come nel caso specifico la colpa non sia del governo. Il caso ha messo in evidenza il problema dei decreti omnibus, ma anche le responsabilità dell'amministrazione della Capitale. «A noi questo Salva Roma fa leggermente schifo, e se Roma non si salvasse nel senso che il sindaco Marino desse le dimissioni per bancarotta, a noi non dispiacerebbe». Prime sfide sul terreno più insidioso, quello delle politiche economiche, sulle quali il governo tiene ancora le carte coperte. Ieri il ministro Pier Carlo Padoan ha parlato per la prima volta in Parlamento. «Il sistema tributario - ha detto alla Camera - può e deve essere modificato per favorire la crescita». Anche la delega fiscale potrà essere uno strumento, in particolare per ridefinire i costi del fare impresa. Nel dettaglio, «la ridefinzione dell'abuso del diritto unificata a quella dell'elusione, la revisione delle sanzioni penali e amministrative, il miglior funzionamento del contenzioso e del rapporto con i contribuenti». Poi lotta all'evasione, con la «permanenza di strumenti che evitino l'addormentarsi su risultati, che devono essere confermanti». Nessun accenno alla trattativa con l'Ue per avere più margini sul deficit. Il premier, da Treviso, insiste sul taglio del cuneo fiscale. «Abbiamo fatto una discussione. Se tu riduci l'Irap, le aziende hanno immediatamente un elemento di concretezza economica.
L'Irap vale oltre 30 miliardi: se metti 10 miliardi, riduci di un terzo l'imposta: è un'ipotesi. Viceversa, se metti 10 miliardi sullo sgravio Irpef, è evidente che i lavoratori dipendenti si trovano in tasca qualche decina di euro al mese in più».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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