Afghanistan, via alla nuova guerra. "Sarà la tomba di tutti i talebani"

L'offensiva nato. È partita l’operazione "Insieme", la prima dall’arrivo dei rinforzi voluti dalla Casa Bianca e la più imponente dall’attacco del 2001. Nell'assalto ai guerriglieri, entrati in azione più soldati afgani che stranieri

Afghanistan, via alla nuova guerra. "Sarà la tomba di tutti i talebani"

È in pieno svolgimento in Afghanistan l'operazione Mushtarak, la più importante condotta dalle truppe Nato e afgane dal 2001 e che, nelle parole del generale James Cowan, che comanda le truppe inglesi, segnerà «l'inizio della fine per la guerriglia».
L'offensiva coinvolge oltre 15.000 uomini ed è il primo risultato della «surge» che ha portato gli Stati Uniti ed i partner Nato ad aumentare il numero delle truppe presenti nel paese. Scopo della operazione, che richiederà mesi per essere completata, è quello di strappare definitivamente ai talebani il controllo di una larga fascia di territorio, su un arco di 350 chilometri, dove abita l'85% della popolazione afgana delle province «calde» di Helmand e Kandahar. L'offensiva viene condotta da terra e dal cielo.
A terra avanzano colonne motorizzate dotate degli ultimi sistemi per scoprire e neutralizzare le mine improvvisate, dal cielo arrivano reparti eliotrasportati, supportati da aerei ed elicotteri da combattimento e da una miriade di velivoli senza pilota.
Per ora le truppe stanno avanzando incontrando una resistenza limitata e i comandanti alleati sperano di poter conquistare le città più importanti, Marjah e Showal, relativamente in fretta. Il difficile, però, verrà in seguito: dopo aver espugnato quelle che sono vere roccheforti dei talebani, le forze alleate dovranno mantenerne il controllo e poi consentire l'insediamento di autorità di governo civili, per dare quindi il via a programmi di ricostruzione. Tutto questo non è mai stato possibile in passato, perché non c'erano abbastanza soldati e perché si sono usate strategie inadeguate.
Le novità cominciano dalla scelta del nome: «Mushtarak» è una parola dari che significa «insieme», molto diversa dalla solita frase aggressiva in inglese che contraddistingue le operazioni militari. «Insieme» perché questo è uno dei primi casi in cui il numero di soldati afghani coinvolto supera quello dei militari stranieri. Anche se naturalmente le forze dell'Ana, l'esercito afghano, sono impiegate con le cautele opportune e per compiti relativamente semplici. Ancora, l'inizio della offensiva, preceduta da azioni di «preparazione» condotte dal cielo e dalle forze speciali, è stato comunicato a tutti, sì, anche al nemico, ma soprattutto alla popolazione civile, con ogni mezzo, compreso il lancio di volantini. In questo modo si spera di poter evitare troppe vittime civili. Il comandante delle forze Nato e americane, il generale Stanley McChrystal è disposto a far correre rischi in più ai propri uomini piuttosto che autorizzare un ricorso alle armi troppo disinvolto. Le armi pesanti, in particolare, si usano solo con precisa approvazione, considerato che un’offensiva su vasta scala ai primi di febbraio è ben in anticipo rispetto alla tradizionale stagione dei combattimenti. Ma gli Usa vogliono usare anche il fattore meteo a proprio vantaggio e si sono mossi non appena hanno avuto abbastanza soldati.
Non c'è alcun dubbio che i marine statunitensi e i soldati britannici, canadesi, danesi ed estoni che combattono insieme a quelli afghani siano in grado di espugnare i caposaldi dei talebani: hanno il vantaggio del numero, della potenza di fuoco, della mobilità. E finalmente possono «cordonare» la zona della battaglia per evitare che ne fuggano in troppi. I comandanti talebani avevano lanciato qualche proclama all'insegna del «combatteremo fino all'ultimo uomo», ma alla fine hanno preferito «morire un altro giorno» e si sono ritirati. Il che non esclude che qualche centinaio di irriducibili sia pronto a combattere fino alla fine, magari nei centri urbani.
Una forza di guerriglia non può permettersi di affrontare una battaglia preparata contro un avversario superiore. Ma ritirandosi i guerriglieri devono ammainare le bandiere, rinunciare ai loro governi-ombra, all'illusione di creare aree controllate e amministrate. E se non si dovrà combattere, ci saranno relativamente poche vittime civili e si eviterà di distruggere quel poco di cui vivono i locali.
I talebani sperano però di poter tornare quando i soldati americani e afghani si saranno ritirati, magari a causa dei troppi agguati e attentati.

Ed è proprio questa la sfida cruciale: se le truppe di Hamid Karzai e occidentali resteranno dopo la fase dei combattimenti, se convinceranno a tornare alle proprie case la popolazione civile che in larga misura ha scelto di scappare dai villaggi, se sapranno offrire un’alternativa migliore, a partire dalla sicurezza, se avranno la forza e le risorse per continuare lo sforzo mese dopo mese, costi quel costi, allora la battaglia sarà davvero vinta. Non sarà facile e sicuramente ci sarà un pesante tributo di sangue da versare. Ma il nuovo metodo è l'unico che offra una sia pur tenue prospettiva di successo.

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