«Aggiotaggio, un reato moderno»

«Bisogna dimostrare che l’informazione è inveritiera e chi l’ha data ne era a conoscenza»

«Aggiotaggio, un reato moderno»

da Milano

«Il reato di aggiotaggio informativo e manipolativo rappresenta un importante strumento nelle mani della magistratura per poter indagare sui reati finanziari. Senza dubbio è un reato grave che prevede una pena fino a 6 anni di reclusione e, come tale, consente anche l’applicazione di mezzi istruttori pesanti come le intercettazioni telefoniche, particolare non consentito dalle precedenti normative». A commentare l’avvio dell’iter giudiziario sull’operazione Ifil-Exor-Fiat è l’avvocato Mario Zanchetti, 44 anni, il penalista milanese che con l’esposto di Abn Amro ha dato il via all’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta.
Professor Zanchetti, su un tipo di reato come quello individuato dalla Consob qual è il problema probatorio principale?
«Per poter punire un soggetto per aggiotaggio informativo bisogna dimostrare che l’informazione data è difforme dalla realtà e che la persona che ha dato l’informazione era perfettamente a conoscenza che fosse difforme dalla realtà. Che la comunicasse, in pratica, sapendo che la notizia era idonea a creare una sensibile oscillazione del titolo».
Come classifica questo reato?
«È un reato che definerei molto “moderno” perché siamo in un’epoca nella quale le società fanno una miriade di comunicazioni e informazioni. Ma, soprattutto, è un reato molto grave in quanto, attraverso la trasmissione di informazioni false al mercato, i risparmiatori rischiano di andare incontro a danni seri».
Quanto può durare un’inchiesta del genere?
«Rispetto allo standard le inchieste sulla vicenda Antonveneta sono state piuttosto rapide, circa 6/8 mesi. Un’inchiesta del genere può durare anche un anno. E anche in tal caso parlerei di tempi rapidi».
E se il caso di cui si sta ora occupando l’autorità giudiziaria italiana avesse avuto come scenario gli Stati Uniti?
«Negli Usa vengono utilizzate tecniche d’indagine completamente diverse. In pratica, vige il principio di un sostanziale onere di collaborazione della società indagata con l’autorità inquirente. Se ci sono dei manager sottoposti a indagine il Dipartimento di giustizia chiede alla società stessa di collaborare: significa fare una raccolta di tutti i documenti cartacei ed elettronici, interrogare i propri dipendenti e fornire ogni signola informazione alla Procura».
E se la società fa la «furbetta»?
«Va incontro al reato di “ostacolo alla giustizia”.

Se gli inquirenti scoprono che la società non ha consegnato spontaneamente solo un pezzettino carta si rischiano molti anni di reclusione oltre al commissariamento».
Quale linea difensiva adotterebbe nella vicenda torinese?
«Per una società, in questi casi, la collaborazione con la Procura è sempre la soluzione migliore».

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