Potersi esprimere liberamente nei confronti del potere ed esserne impediti fino a subirne conseguenze come esilio, carcere, tortura: è da sempre il motivo che lega arte e dissidenza e che oggi, grazie ai social media, si moltiplica all'istante in ogni angolo del mondo. In qualche modo la rete veglia sugli artisti oppressi dalla dittatura: dalla Cina all'Africa, se scelgono di provarci vengono uniti con la stessa inappellabile durezza, ma all'istante artista torna a fare rima con attivista.
È di un mese fa la notizia della condanna dell'artista Luis Manuel Otero Alcántara e del rapper Maykel «Osorbo» Castillo a cinque e nove anni di carcere a Cuba. Otero, arrestato durante le manifestazioni antigovernative dell'11 luglio 2021, è accusato di oltraggio alla bandiera nelle sue opere, Osorbo - coautore della canzone Patria y vida, simbolo delle proteste antigovernative a Cuba - di vilipendio e disordine pubblico. Otero, indicato nel 2021 tra le personalità influenti da Time, nel 2019 portò per un mese in spalla la bandiera cubana: nel processo i giudici affermano che l'abbia offesa, usandola come asciugamano per sdraiarsi sulla sabbia e avvolgendosela addosso prima di sedersi sul water. La compagna di Otero, Yanelys Núñez, storica dell'arte in esilio a Madrid, è stata più volte protagonista con lui di azioni di protesta: nel luglio 2018 si coprì il corpo di feci fuori dal Campidoglio cubano contro il decreto 349, che stabilisce tra l'altro che «una persona deve avere l'autorizzazione del governo per creare e diffondere le sue opere e per essere considerata un artista». A Cuba la maggior parte degli artisti attivisti viene arrestata o intimidita e alla fine espulsa: è il caso di Hamlet Lavastida che nell'estate 2021 ha trascorso tre mesi nel carcere di Villa Marista all'Avana per i messaggi in una chat privata in cui proponeva di scrivere sulle banconote cubane simboli e parole dissidenti.
Se ci spostiamo di continente la repressione non cambia: ai primi di gennaio del 2022 è stata diffusa la notizia dell'arresto in Uganda dello scrittore satirico Kakwenza Rukirabashaija, premiato lo scorso anno con l'International Writer of Courage dal Pen e autore di The Greedy Barbarian, romanzo sulla corruzione, e di Banana Republic: Where Writing Is Treasonous, saggio in cui narra del suo precedente arresto nel 2020 e delle torture subite. Uomini armati hanno fatto irruzione nella casa dello scrittore pare a causa di una serie di tweet contro il presidente ugandese, Yoweri Museveni, che sono stati la causa delle percosse e torture denunciate dalla moglie di Rukirabashaija e dal suo avvocato. A febbraio Rukirabashaija ha lasciato l'Uganda.
I nomi di alcuni artisti dissidenti sono diventati da tempo un simbolo virale per l'opinione pubblica mondiale, che ne segue gesta e proteste e li difende online con forti movimenti di solidarietà. È il caso di Ahmet Altan, uno degli autori più noti e popolari della Turchia, liberato un anno fa dopo essere stato incarcerato dal 2016 per reati di opinione e in un primo momento condannato all'ergastolo. Ed è soprattutto il caso di Ai Weiwei, Pechino, classe 1957, che dal primo arresto per evasione fiscale nel 2011 dopo essersi espresso nel suo blog contro il governo cinese e dopo aver denunciato su Twitter torture contro un suo collaboratore, è diventato un simbolo globale.
Nel suo manifesto con le «Dieci regole per l'arte e il vivere», messo online lo scorso aprile, rinnova l'impegno contemporaneo dell'arte verso una espressione anche politica dell'esistenza: «Usa il tuo modo di vivere per determinare codici morali e norme di comportamento» e soprattutto «Fa' la cosa giusta, senza esitazione. Non lasciare che i condizionamenti e le aspettative della società ti impediscano di perseguire la verità».
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