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In albergo a Roma una notte intera senza nè elettricità nè acqua

In piena stagione turistica, un black out lunedì ha lasciato i clienti dell'hotel Ariston in condizioni di disagio e di pericolo. Bloccati tutti i servizi, senza lampade d'emergenza nelle camere. Ma nessuna autorità interviene

Sentite un po' che cosa può accadere a Roma, la città più turistica d'Italia, in pieno luglio.
Lunedì notte, al rientro da un volo intercontinentale, arrivo all'albergo che mi è stato prenotato: si chiama Ariston, via Turati 16, a pochi metri dalla stazione Termini. Memorizzate il nome, non si sa mai. Arrivo all'una di notte, dopo aver telefonato tre ore prima per avvertire dell'ora tarda. Scendendo dal taxi noto qualcosa di strano: gente sul marciapiedi, porte aperte e... tutto buio. Un black out totale, ma solo nell'edificio. Qualcuno è bivaccato nell'ingresso, qualcun altro scende le scale con le valigie per andarsene. Entro, mi presento e chiedo: che succede? Spiegano: l'Acea (la società energetica di Roma) ha tranciato un cavo, siamo senza luce; abbiamo anche difficoltà ad assegnarle la camera, perché non possiamo vedere quali sono occupate e quali libere. Dico: è l'una di notte, sono stanco, risolvete il problema. Allora, senza nemmeno chiedermi i documenti, mi affidano a un facchino con una pila che mi accompagna alla stanza 522, quinto piano a piedi. Chiedo una torcia, almeno una candela: niente. Insisto, perché non è una bella prospettiva rimanere al buio in un luogo sconosciuto. E qui arriva la prima contraddizione: abbiamo cercato di comperarne, dicono, ma era tutto chiuso. Salvo poi ammettere che il black out è cominciato alle 20: facevano in tempo a comprare tutto quello che volevano, e facevano anche in tempo a riproteggermi in un altro albergo o, almeno, ad avvertirmi al telefono dell'inconveniente.
Sono in funzione solo poche luci d'emergenza in qualche corridoio. Non nelle scale. Non nella mia camera. Il facchino apre con la chiave di metallo, si accerta che i letti non siano occupati, poi se ne va e mi lascia nell'oscurità. Annaspo qua e là, poi utilizzo la luce del telefonino per orientarmi, fioca ma risolutiva. Scopro anche, non senza sgomento, che dai rubinetti escono solo fili d'acqua, perché evidentemente essa è sollevata con motori elettrici. Mi assale una strana inquietudine: che cosa accadrebbe in caso d'incendio? Probabilità remota, certo, ma al buio non avrei scampo, non posso nemmeno leggere le istruzioni per l'evacuazione. E che cosa accadrebbe se scivolassi in bagno e mi rompessi una gamba? Pensieri sgradevoli, che m'insinuano nella mente l'idea di essere in pericolo e vittima di un sopruso. Chiamo il Comune di Roma: voglio chiedere se sono al corrente del black out e se possono fare qualcosa. Mi dicono: in questi giorni è già accaduto, le passiamo l'Acea. Ma il numero d'emergenza dell'azienda offre soltanto un nastro registrato. Perfettamente inutile. Chiamo i carabinieri: voglio capire se essere abbandonato al buio in un pubblico esercizio comporta dei risvolti penali. Risposta: venga qui e faccia la denuncia. Chiamo i vigili urbani, vengo ascoltato in silenzio e poi mi si risponde: abbiamo le pattuglie occupate, se ne avremo una libera la manderemo a fare un sopralluogo. Tante grazie. Alla fine desisto e mi metto a letto.
Verso le due e mezza mi svegliano tre eventi contemporanei: l'accendersi dell'aria condizionata, l'apparire di una spia verde su un contatore di fronte al letto e le grida di gioia di altri ospiti dell'albergo. La luce è tornata! Provo gli interruttori ma non si accende nulla. Riprovo, niente. Chiamo la reception e mi dicono: lei non ha inserito la chiave elettronica nell'apposita fessura, quindi per forza non si accende nulla. Datemi la chiave, allora! Non si può: abbiamo il computer bloccato. Mandatemi almeno un passepartout! Ma nemmeno la tessera universale dell'addetto fa accendere la luce. Mi rassegno al buio, ma almeno so che l'emergenza è superata. Passano i minuti, l'aria condizionata rende la stanza gelida e non si può spegnere. Richiamo. Il solito facchino viene prima ad armeggiare, poi risolve chiudendo l'interruttore generale.
Al mattino presto vengo svegliato di soprassalto da una cameriera che spalanca la porta. Che c'è? chiedo allarmato. Signore - risponde - se non inserisce la chiave elettronica nella fessura, io non posso capire se la camera è occupata. Mi sento preso in giro: io la chiave non ce l'ho, me la faccia portare. E cinque minuti dopo una gentile impiegata mi recapita la chiave. La inserisco, e la camera s'illumina come un albero di Natale. Spengo tutto e torno a dormire, tanto il treno è a mezzogiorno.
Alle 10.30 suona la sveglia. Mi alzo, vado nel bagno (cieco) e provo ad accendere la luce: non funziona. Apro il rubinetto: un filo d'acqua. Incredulo e infuriato richiamo giù e mi dicono, nemmeno con troppa educazione: l'Acea ha tranciato un cavo durante dei lavori, che possiamo farci! Cavo oggi, cavo domani, Roma dovrebbe essere tutta fuori uso. Ormai non ci credo più. Mi lavo con quelle poche gocce, faccio la barba a memoria. Me ne vado con la frustrazione che la camera fosse stata già pagata: il minimo sarebbe stato rifiutare il conto.

Mentre consegno la chiave, al mio fianco c'è un giovane turista straniero, con il suo trolley rigonfio. Chiede una camera. Lo accolgono con un benvenuto e gli domandano i documenti. Nessuno si sogna di dirgli a che cosa sta andando incontro. Hotel Ariston, via Turati 16, Roma. Memorizzate.

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