Albertazzi e il «Diario» Una relazione pericolosa

Al teatro Grassi da domani la pièce tratta dal «Journal» di Léautaud

Igor Principe

La scorsa stagione, presentando Memorie di Adriano al teatro Strehler, pronunciò una di quelle frasi che suonano come la sentenza di un giudice quanto mai navigato: «La pièce bien faite è morta». Ritrovare Giorgio Albertazzi un anno dopo al Piccolo in quella che pare una pièce a tutto tondo - Diario Privato, da domani al 26 febbraio al teatro Grassi - suscita quindi legittime domande: ma quella categoria del teatro non era passata a miglior vita?
«Morta mi sembra eccessivo, certo è in decadenza», spiega l'attore, protagonista con Anna Proclemer di una storia che Raffaele La Capria ha tratto dal Journal Littéraire di Paul Léautaud e che vede come regista Luca Ronconi. «Se mi guardo intorno, ne trovo conferma nei successi sempre più frequenti dei grandi monologhi - prosegue -. Si sta sulla scena in modo più personale e meno mediato dal testo, e non ti viene chiesto di dimostrare la tua bravura come attore ma di mettere davvero te stesso in quello stai facendo. Tuttavia aggiungo, per quel che mi riguarda, che ho recitato sempre e in ogni situazione guardando in faccia la platea, senza mediazioni».
Pur non essendo un monologo, anche questo Diario esce dunque da una categoria teatrale che Albertazzi non esita a ritenere materia per il passato. «Léautaud ha scritto un testo letterario, e La Capria lo ha ridotto per il palco - spiega -. Non è quindi una commedia bell'e fatta, che puoi affrontare con la sola bravura tecnica. È necessario attingere a una personale esperienza culturale e di vita. Ronconi voleva metterla in scena da anni; com'è ovvio, mi fa piacere che possa farlo con me e Anna».
Il Journal di Léautaud è una delle opere più mastodontiche che la storia letteraria mondiale abbia mai conosciuto: diciannove volumi, metodicamente redatti dall'autore in 63 anni di vita.
Al centro, anche sulla scena del Grassi, la tempestosa relazione tra Léautaud (Albertazzi) e Anne Cayssac (Proclemer), che egli chiama "il Flagello". Una liaison dangereuse nella Francia tra le due Guerre mondiali del Novecento: lei è una donna sposata, senza figli, medio-borghese attratta dalla trasgressione incarnata da lui, scrittore e critico teatrale dalla penna al vetriolo per il periodico Mercure de France. «Il testo è innervato da una tensione erotica fortissima - dice Albertazzi -, sostenuta da quelle che di primo acchito possono sembrare semplici parolacce. Considerarle tali sarebbe un errore, perché invece sono elementi di una sfida lessicale tra l'attore e il testo».
Tutto è soltanto detto, tra Léautaud e il Flagello. Ma è detto in modo tale che dalla carnalità del loro dialogo si ricostruisca una relazione con non poche venature di ordinarietà: richiami a faccende domestiche, a debiti saldati o non saldati, a incontri dal macellaio o dal pescivendolo per acquistare cibo per sé o per lo zoo che li circonda.
Lo scrittore, maniaco degli animali, vive circondato da cani e gatti e, alla loro morte, li seppellisce nel giardino della sua casa di Fontenay. Tra i protagonisti e le bestie si insinua una seconda presenza femminile: Marie Dormoy (Paola Bacci), che fu amante di Léautaud dopo Cayssac e cui si deve la pubblicazione di quella valanga di scritti che costituisce il Journal.
Léautaud, s'è detto, fu uomo di teatro. Se è vero che ogni attore cerca un po' di se stesso nel personaggio da interpretare, come se gli servisse per mettercisi comodo, è inevitabile chiedere ad Albertazzi cosa di sé abbia ritrovato nello scrittore francese. «In una persona poco avvezza all'igiene personale? Ben poco - conclude scherzando -. Intendiamoci, anch'io amo gli animali, ma non ne ho in casa a decine.

Posso ritrovarmi negli aspetti più intellettuali, nella vita per il teatro. Ma è poca cosa, che però non mi ha impedito di affrontare il personaggio in maniera diretta. Magari mi ripeto, ma tengo a dirlo: sono io che parlo in prima persona, perché non sto soltanto recitando».

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