Albini, il funambolo dell’architettura

Trovare nel palazzo della Rinascente a Roma le corrispondenze con Palazzo Farnese, o a Parma quelle di un immobile di appartamenti con il Battistero dell’Antelami. Anche questo è parte dell’eredità lasciata dall’architetto Franco Albini, celebrato dalla Triennale di Milano con la mostra «Zero Gravity. Franco Albini Costruire la modernità» fino al 26 dicembre. La Rinascente è l’ultimo capolavoro dell’architetto milanese in cui, come racconta il curatore scientifico della mostra Fulvio Irace, è manifesto «il rapporto intelligente con la tradizione: la parte terminale altro non è che un cornicione sporgentissimo come a Palazzo Farnese, la facciata di pietra modulata, non liscia, è un sistema molto romano di architettura delle ombre, che a Milano non esiste». Ma la contemporaneità di Albini (Robbiate, Como, 1905 - Milano 1977) si dispiega per tutta la mostra, in un percorso leggero e lievitante come la visione che Albini aveva dell’architettura. Già, Zero Gravity, il tentativo di rendere tutto galleggiante, persino le scale non toccavano mai terra nei progetti che alla Triennale sono raccontati da grandi fotografie, disegni e oggetti di design, tutti originali.
L’allestimento della mostra è un omaggio che Renzo Piano, con Franco Origoni, fa al suo maestro: «“Sei matto!”, mi disse la segretaria di Albini quando con tanta certezza lasciai Firenze al terzo anno di architettura e chiesi lavoro al suo studio di Milano - dice Piano - ma rimasi da Albini tre anni, dal ’60 al ’63, assorbendo più che potevo con occhi spalancati. Ho seguito tutti i progetti dell’epoca come ragazzo di bottega: ho lavorato sulla Rinascente disegnando i blocchetti della facciata uno ad uno, poi c’erano gli allestimenti, gli oggetti, i televisori, Albini aveva l’idea antica di bottega come esempio, insegnava facendo, e questa mia collaborazione con la Triennale è il giusto omaggio ad un grande maestro. Il sabato andavamo a Genova a trovare Caterina Marcenaro, arcigna e bravissima direttrice della Ripartizione Belle Arti e Storia del Comune di Genova, che aveva affidato ad Albini i lavori per il restauro di Palazzo Rosso e del suo appartamento all’ultimo piano dello stabile, dopo quelli di Palazzo Bianco. Sulla strada ci fermavamo a Pavia dai mobilieri Poggi a controllare ogni dettaglio di altri oggetti in produzione. Rubavo nel quotidiano, a viso scoperto, e mi piace celebrare adesso la poetica di Albini che è stata per me così formativa».
Il percorso della mostra infatti si integra perfettamente al lavoro di Albini; volante come i suoi progetti, tutto scende dal soffitto, anche la famosa libreria con struttura tensile in legno e cavi d’acciaio. All’ingresso si viene accolti da un grande ritratto dell’architetto realizzato da Roberto Sambonet che introduce ad uno dei primi allestimenti per la VI Triennale del 1936, la «stanza per un uomo», straordinario esempio di progettazione surreale, in cui il letto è a 2 metri d’altezza, raggiungibile con una scala, sotto la quale trovano posto un vogatore, pesi per la ginnastica e l’armadio dove anche le camicie hanno una destinazione minuziosamente definita. Il rigore e la riservatezza di Albini si dispiegano qui in tutti i progetti esposti; sono la testimonianza di quanto importante sia stato il contributo dell’architetto milanese all’innovazione dell’architettura, sia stato edilizia popolare come le case di Viale Argonne o la Metropolitana a Milano, il rifugio-albergo Pirovano a Cervinia, dove si recupera la tradizione rinnovandola, o il Museo del Tesoro di San Lorenzo a Genova. Acrobata della leggerezza e della luce rivoluziona le modalità di esposizione delle opere d’arte, illuminandole dal basso per ottenere l'effetto volante, e nobilita oggetti tecnici trattandoli come opere d’arte, come si può vedere nei pannelli dedicati al Padiglione della Montecatini del 1941 «Allestimento della sala del piombo e dello zinco» nelle parole di Irace «equiparazione perfetta tra oggetti “alti” e “bassi” nella loro astrazione».
La suddivisione degli spazi, siano progetti abitativi o museali, è spesso affidata a pali o aste, classico motivo razionalista, Albini fa un lavoro sottilissimo sulla interpenetrazione e lo perfeziona, equilibrista della progettazione. Fondamentali nella sua visione sono i giunti, i punti di intersezione, siano vimini o acciaio. Per il funambolo Albini l’architettura è fatta di elementi in tensione tra di loro; questi elementi devono giuntarsi in un punto preciso per mantenere l’equilibrio. Alla domanda se i visitatori hanno qualcosa da imparare da mostre come questa, dove si celebra sì l’architetto ma soprattutto la sua architettura, la risposta di Irace è sicura: «L'insegnamento di Albini è la sua grande attualità dal punto di vista tecnologico. Albini è nella linea di Piano ma anche di architetti come Herzog & de Meuron, fortemente sperimentatori di un uso espressivo della tecnologia. Siamo stati abituati a considerare l’architettura come artificio di forme di cui godiamo come oggetto estetico. Ci siamo dimenticati che quella forma è il risultato di una lotta tra un’etica e un’estetica. Quello che Albini ci fa vedere è un combattimento costante, la forma non è predeterminata ma nasce dallo scontro tra il materiale e la volontà di piegare questo materiale. La grande dinamicità di Albini sta nel fatto che non offre soluzioni da copiare ma un metodo per concepire la forma. La sua architettura ci dice: non immaginate per prima la forma, ricordatevi che è il risultato di un braccio di ferro». Piano è d'accordo: «Nello studio di Albini si respirava un’aria di missione mista a poetica artigianale, suona romantico ma non è così. Non c’era l’idea di architettura uguale a scultura, ma la consapevolezza che l’architettura è un iceberg, la cui complessità sommersa è nove volte superiore a quel che si vede».


La mostra è organizzata per sezioni tematiche affidate a diversi curatori: «Macchine celibi», a cura di Fulvio Irace; «La Città Nuova: Milano e l’architettura razionale», a cura di Matilde Baffa; «Spazi atmosferici: l’architettura degli allestimenti», a cura di Federico Bucci; «Gli oggetti dell’abitare», a cura di Silvana Annicchiarico; «Stanze della memoria», a cura di Marco Albini; «Modernità e tradizione», a cura di Augusto Rossari; «L’arte del porgere: il museo tra Albini e Scarpa», a cura di Marco Mulazzani e Orietta Lanzarini; «La tecnologia e la città», a cura di Claudia Conforti. Il catalogo è pubblicato da Electa.

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