«Alcesti», nel dramma d’attualità il mito classico

Giovanni Antonucci

Il problema della messinscena della tragedia greca è oggi spesso risolto dai registi con uno stravolgimento dei suoi valori poetici e insieme delle sue caratteristiche teatrali. Girolamo Angione, anche autore dell'elaborazione drammaturgica insieme a Pierpaolo Fornaro, ha scelto una strada diversa in Alcesti. La tragedia di Euripide nelle carte di Ted Hughes e Sylvia Plath, in scena al Teatro Erba di Torino, prodotto da Torino Spettacoli. Il capolavoro di Euripide, esaltazione dell'amore coniugale con quella moglie che accetta di morire al posto del marito Admeto, è filtrato attraverso la vicenda umana di Sylvia Plath e di Ted Hughes, poeti tra i maggiori della seconda metà del Novecento. Il loro matrimonio, durato sette anni, si concluse nel 1963 con il suicidio di Sylvia dopo che Ted l'aveva lasciata per un'altra donna. Trent'anni dopo, Hughes tradusse l'Alcesti in una chiave autobiografica, quasi volesse liberarsi del rimorso che l'aveva accompagnato per la morte della donna che aveva amato e che gli aveva dato due figli. Angione fa rivivere nel dramma moderno il mito antico, anche se il finale è diverso. Sylvia muore, mentre Alcesti ritorna viva dal mondo dei morti.

Il regista, nella raffinata scena di Elisabetta Ajanì, crea uno spettacolo dove il teatro nel teatro, sottolineato dall'uso delle maschere, diventa emozione e poesia. Patrizia Pozzi, Eugenio Gradabosco, Carmelo Cancemi, Bartolo Botta e Riccardo Genovese ne sono gli esemplari interpreti.

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